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The Last of Us (2023) di Jonhdoe1978

Contrassegnato con: Bella Ramsey, Jonhdoe1978, Pedro Pascal, recensione, Serie Tv

The Last of Us Interna

Il popolo dei gamer è sempre stato attratto dalle storie di zombie/mostri con sfondi apocalittici. Proprio questa attrattiva ha comportato negli anni la profilazione di molti giochi a tema e anche titoli famosi, senza scomodare i precursori Resident Evil e Silent Hill, quali Tomb Rider e Uncharted, in un paio di capitali, per ampliare il proprio pubblico, hanno tirato fuori nemici con quelle caratteristiche. Nonostante questa evidente inclinazione sull’argomento, l’attesa per The Last of Us, l’uscita risale al 2013, è stata freddina, o meglio, la sensazione, mia e non solo, era di un nuovo gioco che avrebbe sicuramente affascinato e intrigato ma che nulla poteva spostare in termini di originalità. Evidentemente sbagliavo e quello che avrebbe dovuto essere un altro, l’ennesimo, gioco tra mostri e città distrutte si è trasformato in un viaggio emotivo sofferto e travolgente. Tutti quelli che ci hanno giocato sono diventati per molti tratti Joel (al di là della morale finale), la sua sofferenza è diventata la nostra, esattamente come la rabbia, l’egoismo e la speranza. In ogni passo abbiamo sentito la fatica del tempo e della vita e ogni volta che ci salvavamo da un qualche attacco o situazione al limite la sensazione è che lo avevamo fatto davvero. Va da sè che per tutti noi, siamo milioni, la notizia dell’uscita di una serie a lui, il gioco, dedicata ci ha esaltato e spaventato allo stesso tempo. Era inevitabile, soprattutto dopo l’orribile Resident Evil, chiedersi come gli autori avrebbero mitigato le differenti impostazioni tra gioco e cinema e soprattutto se sarebbero riusciti anche in minima parte a ricreare la magia del primo.

Ebbene, Craig Mazin e Neil Druckmann sono riusciti nel miracolo. La motivazione di questo stupefacente risultato risiede, a mio avviso, nell’umiltà e nel rispetto (mi ha ricordato Baz Luhrmann in Elvis) che questi due autori hanno avuto per la storia originale. Nessun senso di protagonismo o voglia di stupire, solo la delicatezza di far splendere qualcosa di evidentemente già prezioso stando bene attenti a marcare i passaggi giusti. Le stesse implementazioni narrative, o cambiamenti (vedi Bill e Frank, sui quali per forza di cose torneremo, o la specifica, assente nel gioco, dell’origine dell’immunità di Ellie) sono cosi ben studiate che non solo non disturbano chi la trama la conosce a memoria ma anzi hanno dato un senso di completezza addirittura maggiore.

Ma andiamo con ordine.

Partiamo dalla fruizione della serie. In pratica la domanda è: chi non ha giocato al videogioco può apprezzare tutte le sfumature di storia e personaggi rimanendone rapito e, come detto, travolto? A mio avviso, no. La meraviglia della serie sta proprio nell’aver dato ancora più voce a un coro che però trova il suo fondamento proprio nel malinconico, triste, disperato viaggio dei due protagonisti nel gioco. Chi ha saltato il primo passaggio non può assaporare in pieno sia la strepitosa scenografia della serie (da lacrime per l’accuratezza) che la delicatezza avuta dagli sceneggiatori nel centellinare e gestire i dialoghi e il contesto generale. E chiaro che si è fatto di tutto, vedi i primissimo minuti, per fare in modo di equiparare “vecchi” e “nuovi” spettatori, ma se anche in un ambito di bellezza oggettiva, l’anima toccata nei due, in favore evidentemente dei primi, non può essere la stessa.
E se ci si pensa bene questo non solo non è un difetto, ma proprio il più grande merito dei due autori. Ridare emozione ha chi già ha avuto emozione su una stessa vicenda con un mezzo diverso, è una cosa se non proprio unica, almeno molto rara.

Come detto uno dei passaggi più emotivamente toccanti l’abbiamo avuto nella terza puntata, quella, per intenderci, dedicata a Bill e Frank. In questo frangente la serie si è distaccata dal gioco sia nello sviluppo che nell’epilogo, riuscendo però a dare un significato a questa storia nella storia ancora più profondo dell’originale. Siamo uomini e per quanto testardi, masochisti ed egoisti, abbiamo sempre bisogno di qualcuno con cui condividere qualcosa, anche in mezzo al nulla e nella disperazione più totale. Tale verità è esaltata proprio dalla vicenda di questi due personaggi che con la morte come compagna e con l’inferno come vicino di casa, per anni si sono fusi anima e corpo, toccando vette di normalità proprio dove evidentemente non ce n’era. Un cuore grande in mondo reso più piccolo sia dal virus che dall’oscurità dell’uomo, che nel buio riesce sempre a tirare fuori il peggio di sé. L’ultimo saluto (nel gioco va proprio diversamente) toglie il fiato regalandoci però una sensazione di speranza e possibilità, la stessa che, anche se in momenti diversi, abbiamo cercato disperatamente con il joystick in mano.

L’altro momento di stacco completo, come detto e mettendo parzialmente da parte la storia della cicatrice di Joel, anch’essa non menzionata nel game, tra gioco e serie è l’origine dell’immunità di Ellie. Ecco, questo è stato l’unico istante in cui Craig Mazin e Neil Druckmann hanno spinto sull’acceleratore quasi avessero avuto un’esigenza personale nel chiarire quella che per tutti è sempre stata la domanda senza risposta. Il loro modo di vedere le cose non solo ha retto benissimo a livello di fattibilità, nel senso di possibile, ma ha dato un’ulteriore vampata emotiva agli ultimi secondi. Sapere che un caso del genere sia praticamente impossibile che si replichi, ha acuito la bugia finale e con essa tutta il cuore dell’ultima puntata. Proprio su quest’ultima, che tolto quanto detto, ripercorre in tutto e per tutto il gioco, si potrebbero aprire, e di fatto è successo, tutta una serie di considerazioni morali. La verità è che ognuno la vedrà per come è fatto, trovando in un caso o nell’altro (pro scelta o pro bugia per intenderci) motivi validi per sostenerla e difenderla. Personalmente il percorso di Joel dalle scale alla sala operatoria, nel gioco, un pizzico meno nella serie, l’ho vissuta come una “passeggiata” attraverso l’inferno verso una specie di purgatorio. In tutto quell’egoismo, perchè di quello si tratta, c’era il dolore, le lacrime, la sofferenza e il sangue di un percorso iniziato per caso, come molte cose della vita, e finito come essere la seconda e ultima possibilità di essere almeno un minimo felice. Ogni pallottola era bagnata da una sua lacrima (e anche delle nostre) e ogni centimetro percepito come un kilometro in meno verso un immaginario Everest, dipinto però con qualche fiore in più.

Quel momento è stato uno di quelli maggiormente action e hanno confermato la scelta fatta per tutta la serie: prediligere nella violenza e nella lotta (il gioco per ovvie ragioni era equamente distribuito) lo scontro tra uomini piuttosto che tra uomini e mostri. E anche se tale scelta mira ad esaltare sia l’introspezione dei personaggi che l’efferatezza dell’uomo nel momento in cui cadono le regole, di Joel compreso, un paio di incontri in più di quest’ultimo contro i clickers lo avrei sicuramente gradito. E non credo che questa eventuale scelta avrebbe sminuito il percorso umano e di colpa/redenzione evidentemente cercato (e trovato).

Capitolo attori. Pedro Pascal è Joel. Hai la sua postura, ha la sua presenza, ha il suo stesso sguardo di morte e tenerezza e soprattutto ha il suo identico impatto visivo ed emozionale. Di contro invece, Bella Ramsey, ha tutte le caratteristiche comportamentali di Ellie, mascolinità, paura, schiettezza, sfacciataggine ma non lo stesso impatto, dovuta ripetizione, visivo. L’Ellie del videogioco aveva i tratti delicati, la Ramsey no e questo, soprattutto inizialmente (e il paragone con Pascal/Joel è impietoso) è abbastanza impattante.

La storia ci ha dimostrato che l’HBO raramente si muove a caso e anche questa volta ha tirato fuori un prodotto che non si fatica a definire come il migliore degli ultimi anni. E non era assolutamente facile. Basti pensare a tal proposito che il capolavoro della Naughty Dog è uno dei pochissimi giochi uscito per Ps3, rimasterizzato per Ps4 e ristrutturato per Ps5, insomma il paragone era pesante ed uscirne non solo indenni ma vittoriosi è qualcosa di indubbiamente entusiasmante.
Senza pormi tante domande sul contenuto della seconda stagione, già abbondantemente annunciata, e in conclusione a questa lunga recensione, penso che il risultato raggiunto sia per molti tratti assoluto e ha permesso a molti di noi di vivere la doppia strada del ricordo e del presente. Da una parte c’era infatti quello che abbiamo provato nel game e dall’altra quello che stavamo vedendo nella serie e le due cose insieme hanno dannatamente funzionato sia in termini emotivi che di pura assimilazione e sofferenza della storia. Perché la si può mettere come si vuole, The Last of Us è un racconto dannatamente umano e per questo tanto crudele, sfiancante e possibilista (con ovvie pillole di felicità), come d’altronde la vita reale, al netto certo dell’estremizzazione narrativa.

Jonhdoe1978

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The Last of Us

The Last of Us
9

Valutazione Complessiva

9.0/10

SCHEDA

  • Ideatore: Craig Mazin e Neil Druckmann
  • Episodi: 9
  • Durata Episodi: 43'-78'
  • Genere: Apocalittico/Drammatico/Horror

Interazioni del lettore

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