Nella recensione de Il mondo dietro di te, avevo manifestato il mio dissenso sulla scelta da parte di Netflix di non farlo passare prima al cinema, sottolineando che non era una questione prettamente aziendale, alcuni film ci sono andati, ma del momento. Tale imposizione/impostazione, che poi è vero che mandare un loro prodotto nelle sale non è una loro priorità, anche se dal mio punto di vista avrebbero più guadagni che altro, è confermata anche dal titolo in oggetto (al quale aggiungerei anche Rebel Moon, il nuovo film di Zack Snyder), ed è un gran peccato. Senza addentrarci nel tortuoso campo dei profitti della distribuzione sul grande schermo, credo che Leo, questo il titolo, sarebbe stato un gran successo e questo perché ha tutte le caratteristiche per divertire sia i più grandi che i più piccoli.
Se dovessi fare un paragone, lo considererei un piccolo Pixar, nel senso che raggiunge, come messaggio, il bilanciamento di età ed emozioni come ha spesso fatto il colosso americano (almeno sino a qualche tempo fa).
Il primo grande merito del trio Robert Marianetti, Robert Smigel, David Wachtenheim, a cui va aggiunto Adam Sandler per sceneggiatura e soggetto, è l’approccio iniziale: asciutto, diretto e semplice. La sensazione che ho avuto è stata: intanto ti dò l’ambito narrativo, poi per complicare un minimo le cose abbiamo sempre tempo! Questo ha permesso alla storia di essere facilmente percepita e soprattutto, di lasciare spazio all’intensità e alle domande solo in seguito. Attenzione, non parliamo della risoluzione definitiva dei problemi adolescenziali, ma comunque favorisce una piccola riflessione sul ruolo dell’ascolto e della comprensione. Che Leo, alla fine, sia lo specchio di ogni persona, tutto possono essere coloro che ascoltano e aiutano (genitori, amico, fratello o sorella), è abbastanza chiaro, quello che conquista è il come è stato detto. Tanto per intenderci, è impossibile che un solo individuo riesca a mettersi nei panni di chiunque trovando sempre il modo di assecondare le virtù e aiutarlo nelle proprie debolezze, vuoi perché ogni rapporto è diverso o semplicemente in quanto cambia l’approccio e l’ambito di vita. Ecco perché alla fine ognuno ha il suo e Leo, quindi, non diventa altro che il camaleonte speciale, l’essere che idealmente tutti dovremmo avere, a prescindere dalle fattezze. Usare un’iguana è stata, infatti, una metafora estrema che voleva sia far vedere come l’affetto e l’amore siamo incontrollabili e irrazionali che, giustamente, trovare un qualcosa di assolutamente simpatico che assecondasse con il sorriso il messaggio. Quello che forse un pochino stona, è aver spiegato questo senso plurale del personaggio (è lo stesso Leo che dice ai bambini che ognuno di loro deve trovare una persona con la quale confrontarsi). Certo, essendo il film maggiormente rivolto ai più piccoli una sottolineatura ce la si poteva aspettare, ma credo che l’intento, anche senza, sarebbe arrivato comunque e forse con maggior coinvolgimento. Il principio secondo cui la felicità e l’intensità aumenta quando arriviamo a qualcosa senza che nessuno ce lo suggerisca, vale per tutti e vale sia per le grandi che per le piccole cose. Sarebbe bastato qualche suggerimento in più e forse, ovviamente, la sensazione di piacere, proprio perché ritenuta privata e quasi intima, sarebbe durata di più.
Punto numero due: l’incalzante trama. Nessuna pausa, un racconto continuo e costante sia nell’interesse che nei momenti di ilarità, che sono veramente tanti. Quel rischio di monotonia, alla fine il processo degli eventi è sempre lo stesso (Leo a casa di un bambino), è stato sempre annullato e questo perché si è giocato, con molto capacità e senza moralismi eccessivi, sul ventaglio di possibile essere (personalità/inclinazioni) dei vari adolescenti. Proprio l’assenza di forzature o inclusività sociali estreme, ha permesso, a mio avviso, a tutta la storia di essere percepita sempre vicinissima e quindi assolutamente, consciamente e inconsciamente, degna di attenzione. Se a questo si aggiungiamo, come detto, continue originale e per nulla scontate, per ogni età, gag, ecco che il prodotto è bello che riuscito.
Terzo e ultimo punto, qui però qualche ma c’è, la gestione della parte conclusiva. Per carità, lo scivolo che porta dall’incomprensione alla comprensione è fatto bene, è evidente che si è cercato di far durare il meno possibile qualsiasi equivoco, ma la sensazione è che negli ultimi minuti si sia alleggerito troppo la vena bilanciatrice, in favore evidentemente dei più piccoli, di cui si diceva all’inizio. Non dico assolutamente che si è smarrito l’abbrivio e il cuore, ma, anche per “colpa” di quella spiegazione di troppo di cui si diceva pocanzi, si poteva scorrere in un terreno più intimo e quindi più interpretabile. Parliamoci chiaro, i bambini di oggi non sono gli stessi di 30 anni fa, sono più veloci e perspicaci, hanno evidentemente più stimoli (non dico sia meglio!), e quindi reggono maggiormente il non detto e o il detto a metà. Se non fosse così, come accennato all’inizio, la Pixar non sarebbe mai potuta esistere. Sottolineato questo, che poi è più una revisione personale, come è giusto che sia, di tutto il film, Leo rimane una gran bella produzione e continuo a ritenere che è stato un peccato non poterla vedere al cinema, se non altro per quella capacità di espansore di emozioni (in questo caso di risa e leggerezza) che esso ha da sempre.
Jonhdoe1978
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