Ho pensato molto se fare questa premessa, ma poi mi sono detto che non farla sarebbe stato come iniziare una corsa di cento metri due passi indietro: sarebbe stata falsata. In questo momento storico (dal dopo Top gun – Maverick, che non mi stancherò mai di dire che ha salvato il cinema, inteso come luogo), trovo assurdo e aggiungerei quasi irrispettoso non far uscire un film prima al cinema e poi nelle piattaforme streaming. E non mi venissero a dire che è una scelta precisa della piattafoma perché più di un suo prodotto ha fatto questo iter. Vedendo poi il cast, storicamente e ancora oggi, di altissimo livello, e il tema, da sempre magnetico, il motivo è ancora più incomprensibile. Detto questo, che poi è anche il motivo per cui ho preferito altri titoli a questo, rimandando sempre la visione, Il mondo dietro di te è il classico esempio di come sia possibile dire tanto senza dire nulla. Si perché, e consiglio a chi non l’ha ancora visto di fermarsi qui e magari riprendere la lettura a visione effettuata, per circa 120 dei 138 minuti complessivi, tutto è molto sospeso e lascia allo spettatore il compito di interpretare la situazione in cui i protagonisti si trovano. Certo, vengono mandati piccoli indizi o meglio, stimoli visivi sui quali cucire la “propria” storia, ma nulla che potesse in qualche modo dissipare qualsiasi ipotesi. A conti fatti, proprio questa impostazione, ricordiamo che questo è l’adattamento cinematografico dell’omonimo libro di Rumaan Alam, è il vero successo del film e questo per quel creare con la sola forza dell’idea al di la di qualsiasi discorso o dialogo.
Ovviamente la fine ci dice cosa veramente sta succedendo, ma, a mio avviso, oltre i messaggi sociali che vuole mandare e su quali torneremo, con un pizzico troppo di velocità (sembra paradossale vista la durata) e con una libertà evidentemente esagerata. Tanto per entrare nello specifico, delle tre situazioni degli ultimi minuti, una della quali è poi la scena finale, due in qualche modo convergono verso un trovare per ripartire, mentre la terza (e con essa una quarta, il nucleo familiare che vede a capo Kevin Bacon) rimane esageratamente sospesa. Al di la della possibilità che questa scelta porta, ognuno può in qualche modo dare il proprio finale, la sensazione è che si sia lasciata aperta una finestra per un possibile continuo. E se questa è una cosa che si vedrà, non posso escluderla con certezza, è ovvio che la fine cosi concepita crea, cosa che ha fatto, discussioni e teorie più o meno fantasiose. Evidenziando la schiavitù alla tecnologia che abbiamo, il film è pieno di piccoli gesti e segni in tal senso, quello che maggiormente arriva, almeno dal mio punto di vista, è l’aleatorietà della nostra esistenza se letta come conseguenza delle scelte di altri. La cupola del mondo, evitando complottismi esageratamente surreali, evidentemente esiste e ha molto più potere rispetto alla normalità alla quale siamo abituati. Sembra assurdo, ma che qualcuno abbia la facoltà di spingere un pulsante e cambiare la storia, è realtà.
Passando alla parte intima della questione, quello che stona un pochino in tutta questa storia è la velocità con cui si costruiscono i rapporti e che minano in qualche modo quelli esistenti. Premesse e conseguenze, infatti, non sempre sono propriamente accettabili e creano, in certe scene, una irrealtà esagerata e quindi fuori fase emozionale. L’alone di mistero generale creato, con maestria c’è da dirlo, però, è riuscito sempre a smorzare queste esagerazioni mantenendo la storia sempre in quei binari di attesa, bella e emozionante, dall’inizio alla fine. Questo dimostra come, alcune volte, il contesto complessivo non è sempre la somma di tanti momenti, ma ha un’anima più profonda e quindi salda e funzionale all’obiettivo cercato.
Gli attori funzionano tutti e anche bene. Lasciamo per un momento stare l’impatto fisico dell’età che avanza, in Julia Roberts è evidente, quello che è emerge è una sicurezza interpretativa di livello assoluto. Lo stesso Kevin Bacon, autore di una piccola parte, è perfettamente a fuoco e in quei pochi momenti buca letteralmente lo schermo.
Nella percezione di un film quello che conta a volta è la meta e in altre il percorso. Quando le due coincidono, il prodotto è evidentemente riuscito, mente se uno è più solido dell’altro è altrettanto ovvio che ognuno avrà una valutazione emozionale diversa. Dal mio punto di vista, qui il cammino è stato molto bello e finemente costruito (le esagerazioni rimangono), la fine esageratamente aperta e concettuale (nel senso di possibili sviluppi). Io parlo, magari avrei dovuto sottolinearlo prima, da persona che non ha letto il libro, e quindi non posso sapere se il percorso letterario sia lo stato lo stesso. In quello cinematografico, i punti di congiunzione finali mancano e lasciano cosi un confine di possibilità troppo esagerato e quindi non completamente assimilabile alla propria sensibilità che cosi rimane sedotta ma non innamorata. Poi magari ci sarà un continuo e tutto potrebbe cambiare. Vedremo.
Jonhdoe1978
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