Quando nel 1996 uscì Fargo, la reazione di pubblico e critica fu quasi di esaltazione. Quel modo contemporaneamente ironico e macabro di raccontare, unito all’incalzante concatenazione di azione e conseguenza diretta (marchio di fabbrica dei Fratelli Coen), aveva dato un forte scossone alle produzioni di quegli anni risultando, quindi, un’enorme cassa di risonanza delle nostre aspettative inconsce. In pratica, cinematograficamente avevamo bisogno di una storia cosi senza saperlo. E se questo è assodato, la più grande vittoria di questo film, dal mio punto di vista, è l’essere riuscito ad abbattere il tempo rimanendo ancora oggi (al di la delle dinamiche comunicative lontanissime) assolutamente aderente a qualcosa di possibile, vero successo di ogni storia.
Proprio sulla rapporto possibilità/realtà/verità i fratelli Coen ci hanno sempre giocato convinti che se lo spettatore crede che un racconto sia vero, trova degli appigli per immedesimarsi con più convinzione e quindi si ottiene più coinvolgimento. È sostanzialmente questo il motivo per cui all’’inizio, pur non essendola se non in un generico omicidio peraltro non nel luogo indicato nel film, ci si dice che si tratta di una storia realmente accaduta. Il fatto poi che non ci fosse la possibilità di controllare tale veridicità (internet era agli albori degli albori) intrigava ancora di più per quel sottile dubbio che ti attanagliava. Dubbio, al limite della perversione, alimentato poi, dalla narrazione unica degli stessi Coen, fatta come detto, di un’ironia altalenante, dal grossolano al sottile, e dalla sensazione (ovviamente cercata) di come il caso e le scelte non sono cosi lontane come si possa pensare. Ma c’è di più, Fargo, ma credo tutta la filmografia dei Coen (è giusto ricordare che questo film è stato da loro scritto, girato, montato e prodotto, come d’altronde molti dei loro), gioca con le perversioni umane scavando un confine netto tra giusto e sbagliato sul quale poi scrivere storie cosi assurde da essere perfettamente concepibili.
Capacità, evidentemente, rarissima.
Ultime righe su Frances McDormand, vincitrice immeritata del suo primo Oscar. Certo, il suo personaggio è ben riuscito se non altro per essere il controbilanciamento dell’idiozia e scarsa moralità generale, ma non è assolutamente di quelli che rimangono nell’immaginario collettivo. La mia impressione è che tale premio sia entrato nel calderone del film (7 candidature Oscar con vincitrice della migliore sceneggiatura originale) e non propriamente per meriti indelebili.
Voto 7.8/10
Jonhdoe1978
TRAILER: Fargo a metà!
C’ha presente quei film che devi vedè almeno na volta nella vita? Ce metto pure La croce delle sette pietre, ma questo è un pelino mejo. Già dar titolo capisci che ce sta n’problema: Fargo. Che poi Fargo non ce sta quasi per niente, perché la maggior parte der film se svolge in Minnesota. È come chiamà n’film Roma Violenta e poi girallo tutto a Pescara.
La storia gira intorno a Jerry Lundegaard (William H. Macy), n’venditore d’auto talmente sfigato che pure quelli de Affari Tuoi ce farebbero na colletta. Jerry sta nei debiti fino ar collo e, invece de fà n’prestito onesto, che fà? Decide de organizzà er finto rapimento de la moje, pe spillà soldi ar suocero riccone. Er problema è che la cosa je sfugge de mano dopo dieci secondi.
Pe rapì la moglie, Jerry assume due criminali da cinepanettone: Carl (Steve Buscemi), che pare n’mix tra n’topo e n’broker fallito, e Gaear (Peter Stormare), che parla meno de n’pesce rosso ma mena come Tyson. Ovviamente sta coppia de geni riesce a sbajà tutto, e inizia na spirale de morti, sangue e situazioni che giusto i fratelli Coen. A mette ordine t’arriva Marge Gunderson (Frances McDormand), na poliziotta incinta che, tra n’panino e n’indagine, riesce a mette insieme tutti i pezzi. E qui scatta l’abilità dei Coen: la tensione cresce, ma co quel tocco surreale che fa sembrare tutto na tragicommedia nera. Tipo quanno cerchi de montà n’mobile Ikea senza istruzioni: all’inizio ridi, poi bestemmi, poi finisci in lacrime.
Fargo è na perla che mischia noir, thriller e na dose de black humor che se nun ve piace allora lasciate perde er cinema e dedicateve a guardà Forum su Rete 4. E occhio ar tritacarne, che dopo sto film nun lo guarderete più co li stessi occhi.
Voto 7.5/10
Mklane
L’aspetto più affascinante di Fargo è la sua capacità di sovvertire le convenzioni del noir. I fratelli Ethan e Joel Coen giocano con il concetto stesso di verità: il film si apre con la dicitura “Basato su una storia vera”, una menzogna deliberata che alimenta il mito. Nulla è come sembra, eppure tutto è perfettamente credibile.
Dopo il deludente riscontro di Mister Hula Hoop, i Coen tornano a una dimensione più essenziale, riscoprendo le radici del loro cinema. Un noir ambientato nel Minnesota del 1987 che, dietro la sua apparente struttura classica, nasconde una narrazione sconvolgente e fuori dagli schemi. Tra paesaggi innevati e personaggi surreali, Fargo riprende la vena grottesca e il gusto per l’assurdo dei Coen, creando un’opera che gioca con le aspettative dello spettatore.
La storia ruota attorno a un piccolo venditore d’auto, Jerry Lundegaard (William H. Macy), che assolda i due criminali da strapazzo Carl Showalter (Steve Buscemi) e Gaear Grimsrud (Peter Stormare) per inscenare il rapimento della moglie e ottenere un riscatto dal facoltoso suocero. Un piano che sfugge rapidamente di mano, trasformandosi in una spirale di violenza e situazioni sempre più assurde. A indagare su questo scenario tragicomico è Marge Gunderson (Frances McDormand), una sceriffa incinta dal carattere mite ma risoluto, il cui contrasto con la brutalità degli eventi diventa uno dei punti di forza del film.
Il ritorno dei Coen a un cinema più essenziale si riflette in scelte stilistiche precise: movimenti di macchina ridotti al minimo, montaggio interno e una fotografia dominata da toni freddi che esaltano il contrasto tra la banalità del quotidiano e il surreale dell’azione.
Le caratterizzazioni sono come sempre memorabili: personaggi al limite del fumettistico, eppure incredibilmente tridimensionali. Macy offre un’interpretazione magistrale di un uomo mediocre e disperato, mentre Buscemi incarna il perfetto criminale “tarantiniano”, un elemento che segna un dialogo (o forse un passaggio di testimone) tra i due stili.
Fargo è un’opera che mescola umorismo, tragedia e critica sociale, dipingendo una provincia americana grottesca e impassibile, dove la violenza è tanto casuale quanto inevitabile. Un cult istantaneo, un ritorno alle origini che sa di evoluzione.
Voto 7.4/10
Alessandrocon2esse
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