Un piccolo Dark con una narrativa grossolana, ma che riesce alla fine a trasmettere quello che voleva.
Questo in una riga il mio pensiero su Don’t come home, serie thailandese che senza il suggerimento di Mklane sicuramente non avrei né mai visto e né mai conosciuto. In questo caso, infatti, nonostante il mio amore immenso per, appunto, Dark, il suggeritore di Netflix (di cui ho parlato nella recensione Inspira, Espira, Uccidi) non ha fatto completamente il suo dovere mostrando di conseguenza ancora qualche limite.
Tornando al soggetto di queste righe, Don’t come home è una serie molto ambiziosa e che non tende, se non forse nella 4° puntata, ad accontentarsi. Quello che stupisce, infatti, è che anche con i tempi stretti scelti (alla fine sono solo 6 puntate da poco più di 40 minuti) si continuano ad aggiungere temi su temi e questo senza mai dare la sensazione (fermo restando che alcune cose rimangono un pizzico nell’aria) di superficialità. Anche la regia è altrettanto ambiziosa e tende e vuole strizzare l’occhio a diversi generi quali l’horror, il thriller, il noir e la fantascienza. Per carità, non si grida al capolavoro o all’unicità, ma l’armonizzazione ottenuta di tutti questi elementi sa comunque di capacità.
Questa serie, nonostante sia stata doppiata solo in thailandese e in inglese, in parte ti riconcilia con quella che era la funzione del Netflix appena nato: dare voce, visti i costi contenuti, a tutti. Una storia del genere alcuni anni fa non avrebbe mai trovato luce e sarebbe rimasta confinata nella programmazione dei soli canali locali. E, dal mio punto di vista, sarebbe stato un peccato. Qualche brivido qua e la te lo lascia e soprattutto riesce (ripeto un centesimo rispetto al suo padre putativo Dark) a trasmettere quel messaggio che la vita e il tempo possano essere circolari e relativi a cui evidentemente tendeva. Certo, alcuni passaggi sono un troppo goffi, ma non riesco per attitudine e coinvolgimento a non consigliarne la visione, sia per il contenuto in sè che per il fatto che ha un inizio e una fine e di questi tempi tale caratteristica non può essere trascurata.
Johndoe1978
Voto 7/10
TRAILER: Ritorno al futuro co li fantasmi
TRAMA: na serie thailandese che Netflix te spaccia pe horror, ma l’unico orrore qua è la gente che se sforza de capì che stà a succede.
Ce stà una che che prende a fija e scappa da Bangkok manco fosse Fast and Furious co la Punto scassata. Dove vanno? A casa sua, ‘na villa vecchia come er cucco che puzza de guai. E infatti appena arrivate, la piccola inizia a vede cose strane, tipo fantasmi, ombre e sguardi strani manco avesse magnato peperoni la sera prima. Fatto stà che a regazzina sparisce e inizia er cinema.
Praticamente se scopre che a casa era maledetta e la madre de la protagonista aveva costruito ‘na macchina der tempo pe’ rimedià a un errore grosso. Praticamente voleva torna’ indietro per salva’ ‘a figlia, ma invece che fa’ le cose normali, ha aperto ‘n vortice che ha incasinato er passato, er presente e pure er futuro. Poi pe incasinallo ancora de più c’hano messo in mezzo pure Mulholland Drive e te saluto…te saluto si perché mica te posso dì de più!
De paura nun ce sta gnente, più che altro ce sta ‘n senso de sconforto e confusione, tipo quando vedi giocà la Roma. Certo, qua mica stamo ai livelli di Dark dove te dovevi prende n’Oki ogni due minuti, però er suo lo fà. Ma alla fine, te pare che te devi da vedè na serie thailandese che a momenti Netflix stessa manco te la suggerisce? Io te dico de si perché armeno è na roba diversa dar solito…e pure perché, ma ndo li vedi i thailandesi che se cagano sotto? De sicuro qua ce ne stanno n’botto.
Mklane
Voto 6.9/10
Tra i titoli più intriganti lanciati a fine ottobre su Netflix, Don’t Come Home si distingue per la sua atmosfera carica di mistero e tensione.
Creata da Thananuj Ebrahim e diretta da Woottidanai Intarakaset, questa serie si presenta con un cast eccezionale (tenendo presente che la produzione è interamente thailandese): Woranuch Bhirombhakdi, Pitchapa Phanthumchinda, Cindy Sirinya Bishop e la giovanissima Ploypaphas Fonkaewsiwaporn.
La trama si apre con una sequenza indimenticabile: una bambina, sola nella sua camera durante una notte tempestosa, viene terrorizzata da una figura dagli occhi incandescenti. Mobili che levitano, porte che si chiudono con fragore e un grido strozzato preparano il pubblico a un’immersione nel terrore.
Al centro della storia troviamo Varee, che, per proteggere la figlia Min da un marito violento, si rifugia nella fatiscente Jarukanant House, una dimora isolata immersa nella natura. Tuttavia, la casa stessa diventa una minaccia, popolata da presenze inquietanti che minano la serenità della piccola Min. Quando la bambina scompare, inizia una corsa contro il tempo, mentre antichi segreti emergono dall’ombra.
La serie si distingue per un approccio psicologico ai temi del terrore. Ogni episodio aggiunge livelli di complessità narrativa, intrecciando il passato con il presente. La regia oscura e avvolgente sfrutta sapientemente l’ambiente decadente della casa, che si trasforma quasi in un personaggio vivente. L’estetica, claustrofobica e densa di tensione, tiene lo spettatore sul filo del rasoio fino al sorprendente epilogo.
Non è solo l’orrore a colpire in Don’t Come Home: il cuore della storia è un intricato intreccio emotivo che esplora la maternità e il sacrificio in modo originale. Con un crescendo di suspense e un finale che sorprende.
Pur ricordando per lunghi tratti la serie tedesca Dark, di Baran bo Odar e Jantie Friese, ma superandola largamente in inquietudine, Don’t Come Home si impone come un’avventura imperdibile per gli amanti del thriller soprannaturale. Da vedere.
Alessandrocon2esse
Voto 7.1/10
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