C’è stato un momento in cui il Ron Howard regista (l’attore se non si è fermato a Happy Days, poco ci manca) era all’apice delle cronache. Il suo ero uno stile non particolarmente estroso, ma riusciva a dare concretezza, solidità e soprattutto, solennità a ogni suo progetto. Ne parlo al passato perché da un certo punto in poi qualcosa nel suo cinema ha scricchiolato e piano piano i suoi progetti da ottimi si sono trasformati in normali. Per carità, non abbiamo mai assistito a film pessimi, ma nemmeno a quel wow a cui in qualche modo ci eravamo abituati. Tutto questo per dire che probabilmente Tredici vite segna il ritorno al passato di Howard e non tanto per il modo quanto per il come, di nuovo potente e abbondantemente sopra la media.
Personalmente credo che il regista americano sia stato molto sfortunato sul momento in cui far uscire questo film. Top Gun: Maverick non aveva ancora salvato il cinema (in senso fisico) post Covid ed essendo la data dei due molto vicina, la scelta fu di farlo uscire direttamente in streaming. Già questa, dal mio punto di vista, è stata una grande limitazione (passare per le sale porta comunque, e oggi lo vediamo, un’attenzione diversa), se poi ci aggiungiamo che la piattaforma era Amazon (possiamo giudicare il livello come vogliamo, ma Netflix ha un bacino diverso), ecco che quello che poteva essere non è stato. Sono convinto, infatti, che se Tredici vite fosse uscito un anno dopo avrebbe avuto un impatto diverso e, entrando nello specifico, se lo sarebbe abbondantemente meritato.
La storia è abbastanza conosciuta: in Thailandia, un gruppo di 13 persone, 12 ragazzi e un adulto, a causa dell’improvvisa piaggia torrenziale, rimangono intrappolate all’interno di una grotta. Parte cosi la rincorsa, prima nazionale e poi mondiale, per tentare di salvarli.
Ora, il punto è molto semplice e difficilmente attaccabile: una storia vera cosi intensa non basta da sola a rendere un film buono. Certo, il favore psicologico dello spettatore aiuta, ma poi sono necessarie tante cose e Howard, stavolta e come accennato pocanzi, ce le mette tutte. Innanzitutto è riuscito a dare una semplicità di comprensione all’interno di una storia evidentemente ingarbugliata assolutamente perfetta e poi, e qui sta quasi tutto, ha colpito e affondato emotivamente senza esagerare e/o estremizzare oltre il necessario. In pratica, gioca con la nostra sensibilità senza mai rendere il racconto lontano mantenendo comunque tutti i tratti di incredibilità e unicità che aveva. Ogni istante trasuda di difficoltà, precarietà, passione, mortalità e soprattutto di pura e reale umanità. Si riescono a percepire le capacità, gli attributi e i limiti di ogni personaggio senza per forza di cose farlo apparire come un eroe intoccabile e senza macchia (cose che evidentemente è stata fatto dozzine di volte in altre produzioni simili) e, al contrario, vittima debole di eventi nefasti, ma semplicemente come persone che hanno avuto il coraggio di affrontare la situazione, in un senso o nell’altro, per quanto al limite.
Anche le riprese sotto l’acqua sono gestite divinamente e questo perché si ti creano un senso di claustrofobia importante, ma senza che diventano mai (rischio evidente) le protagoniste. Tutti quei cunicoli stretti, il flusso dell’acqua che cambia, l’ossigeno che va a viene, sono, infatti, meravigliosamente al servizio del cuore e dell’anima di storia e personaggi. In pratica, la linea principale è la salvezza di quei ragazzi e il modo, insieme alle loro personalità, con cui chi sta fuori può e vuole farlo. Non è l’uomo contro la natura è l’uomo contro gli ostacoli della natura. Ed è molto diverso.
A livello di interpretazione, incredibilmente, il più debole è quello che sulla carta è il più bravo di tutti: Viggo Mortensen. Per carità, il suo è un personaggio in sottrazione (l’analitico, il meticoloso, il razionale), ma purtroppo, almeno per il coinvolgimento, è quello che arriva di meno. Il migliore è, a mio avviso, Colin Farrell. E’ incredibile quanto lo trovassi insipido agli inizi della carriera e quanto invece bravo oggi. Per come la vedo io, prima aveva messo il suo talento al servizio di sè stesso, ora per il cinema. L’esperienza serve anche a questo.
A Ron Howard sono sempre piaciute le storie vere e non è un caso che ci abbia basato un bel numero dei suoi film. Io credo che questa sia una specie di specializzazione e che serva una grande dose di capacità (l’altro grande autore del genere è Clint Eastwood) per esaltarle e non sprecarle. Howard ha indubbiamente questo tocco. L’altra sua grande capacità e di non farti percepire in maniera pesante il tempo. Le quasi due ore e trenta di questo film, ma vale per molte altre sue opere (vedi A Beatiful Mind, Apollo 13, Cinderella Man), scorrono in maniera incredibile dandoti quasi la percezione (paradosso) che siano poche. Non c’è mai un momento in cui ti viene da pensare, come tantissime volte accade, che si sarebbe potuto asciugare il concetto. E’ tutto bilanciato, pesato, azzarderei armonioso, ovviamente dall’alto di un contesto asfissiante e incalzante. E’ lento nella sua velocità e questo binomio è bellissimo da vedere oltre che difficilissimo da realizzare.
Concludendo e facendo un piccolo specchio del mio pensiero, potrei dire che Tredici vite non romanza tanto per romanzare, non mostra tanto per mostrare, non commuove tanto per commuovere, rende giustizia a una storia di uomini e per gli uomini facendoci sentire per qualche minuto più partecipi e più fieri.
Jonhdoe1978
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