Tratto dal bestseller di John Grisham del 1991, Il socio di Sydney Pollack è un thriller legale denso di atmosfere sospese, dilemmi morali e intrighi che segue le traversie di Mitch McDeere (Tom Cruise), un giovane avvocato uscito da Harvard che, attratto da una posizione prestigiosa, si trasferisce a Memphis per lavorare in uno studio legale di alto profilo. Allettato da uno stipendio generoso e dal lusso, Mitch si stabilisce con la moglie Abigail “Abby” (Jeanne Tripplehorn) in una nuova vita apparentemente perfetta. Tuttavia, scoprirà presto che dietro alla rispettabilità dello studio si nasconde un’organizzazione criminale al servizio della mafia di Chicago. Coinvolto in un gioco pericoloso tra lo studio e l’FBI, Mitch dovrà lottare per sopravvivere e trovare una via di fuga.
La sceneggiatura, firmata da David Rayfiel e Robert Towne, rappresenta un elemento chiave nella costruzione del film (sebbene il contributo iniziale di David Rabe sia andato perso nel risultato finale). Rispetto al romanzo di Grisham infatti, il film mantiene l’essenza della trama, ma modifica il finale, abbandonando l’ambientazione caraibica e optando per un’ultima sequenza più sospesa e carica di tensione. Se nel romanzo il personaggio di Mitch è più ambiguo, con tratti meno limpidi e ombre irrisolte, nella trasposizione sul grande schermo è invece rappresentato come un individuo integro e privo di colpe. Questo elemento rafforza il dilemma morale che il protagonista deve affrontare: mantenere la complicità e vivere nel lusso, o collaborare con l’FBI e rischiare la propria carriera, il matrimonio e persino la vita?
Pollack si distingue per la sua capacità di creare un’atmosfera claustrofobica, accentuata dai simboli di lusso e potere che circondano i personaggi: automobili prestigiose, case di lusso e paradisi tropicali. Tuttavia, questa patina perfetta e sofisticata nasconde un mondo in cui la privacy è costantemente violata e le apparenze sono solo facciate. Il regista di Corvo rosso non avrai il mio scalpo! riesce a costruire una tensione crescente grazie a una serie di espedienti visivi e narrativi, come la sensazione di paranoia che pervade le scene, il controllo oppressivo che lo studio esercita su Mitch attraverso sorveglianza e intercettazioni e i frequenti colpi di scena, che conducono lo spettatore attraverso un crescendo di suspense.
Il comparto tecnico del film è arricchito dalla colonna sonora dell’enorme Dave Grusin (Il laureato, Il paradiso può attendere, Il campione e I Goonies…giusto per citarne qualcuno) e dalla fotografia di John Seale, che riescono a enfatizzare l’atmosfera tesa e l’ambientazione anni Novanta. Le musiche di Grusin, in particolare, contribuiscono a creare un clima sospeso, sottolineando i momenti più intensi e le svolte narrative. La scelta di Pollack di girare in diverse location, come Boston, Memphis e i Caraibi, arricchisce poi il film di un respiro internazionale, senza mai distogliere l’attenzione dalla trama principale.
Ma Il socio non è solo un thriller legale ben costruito. È anche una riflessione sul compromesso morale e sul costo del successo. Pollack riesce a intrecciare la storia di Mitch con tematiche di grande attualità (non solo relative all’epoca di uscita del film), come il ruolo dei colletti bianchi nell’economia criminale e la facilità con cui i giovani ambiziosi possono essere manipolati. Lo studio Lambert & Locke, simbolo di potere e prestigio, si rivela presto una trappola mortale, dove ogni azione è monitorata e l’aspirazione al successo è accompagnata da un prezzo altissimo.
Il messaggio finale del film è chiaro: Mitch e Abby, simboli di un’America che aspira a un ideale di rettitudine, decidono di rinunciare ai simboli di lusso e tornare a una vita più modesta, simboleggiata dal ritorno alla loro vecchia Toyota Supra. Questo ritorno rappresenta una “seconda opportunità”, un desiderio di recuperare la propria integrità e una chiara presa di distanza dalle lusinghe della scalata sociale. La scelta di abbandonare il lusso e il potere diventa un atto di ribellione contro un sistema corrotto e offre una speranza di riscatto, in un mondo in cui la morale sembra spesso sacrificata al profitto. Sembra…
Il cast stellare, che include tra gli altri anche Gene Hackman, Ed Harris e Holly Hunter, contribuisce in modo significativo alla qualità del film. Hackman, nel ruolo dell’ambiguo mentore Avery Tolar, è particolarmente incisivo nel ritrarre un personaggio disilluso e tragico. Avery diventa un’icona della corruzione morale che incombe sul protagonista: il suo rapporto con Mitch esplora il contrasto tra la giovane ambizione idealista e il cinismo di chi ha ormai perso le proprie illusioni. Hackman, sebbene relegato a ruoli sempre più familiari, riesce comunque a dominare ogni scena, offrendo un’interpretazione ricca di sfumature e, quasi sempre, finisce per offuscare chi gli recita accanto. La Hunter, nel ruolo della segretaria Tammy Hemphill, porta invece un tocco di ironia e astuzia al film, passando da osservatrice a complice decisiva di Mitch.
Cruise offre una performance intensa, incarnando alla perfezione un personaggio ambizioso ma intrappolato in un mondo che mette a dura prova i suoi principi. Con Il socio, Cruise dimostra di aver acquisito da Rain Man – L’uomo della pioggia e Nato il quattro luglio, una discreta maturità recitativa che va oltre i ruoli di playboy degli anni ’80, donando a Mitch una profondità e una fragilità che emergono nelle scene più drammatiche.
Eppure, nonostante il successo al botteghino (oltre 270 milioni di dollari incassati in tutto il mondo, a fronte di un budget iniziale di circa 42 milioni), la pellicola di Pollack non è risultata immune alle critiche, maggiormente riguardo alla sua struttura eccessivamente levigata e alla mancanza di vera originalità. Alcuni ritengono che il regista, pur riuscendo a costruire un thriller solido, sia rimasto troppo ancorato a un’estetica accademica, sacrificando la freschezza narrativa.
A grandi linee non mi sento di affermare che chi abbia sollevato le suddette critiche, lo abbia fatto ad mentulam canis, ma se si considera che si tratta pur sempre dell’adattamento di un romanzo che ha funzionato alla grande già di suo e che Pollack arrivava dal fallimentare Havana, dopo aver toccato il cielo a due mani con La mia Africa, ritengo che Il Socio sia da considerare un ottimo punto di ripartenza per lui e un buon film (non scevro di difetti) da scoprire (e riscoprire), sufficientemente capace di unire intrattenimento e riflessione.
Un racconto morale, intriso di atmosfere noir, che esplora i rischi e le seduzioni del potere, offrendo uno sguardo disilluso su un’epoca di sfrenato materialismo e ambizioni pericolose.
Alessandrocon2esse
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