Prima del 2012, per almeno un ventennio, quando si sentivano pronunciare le parole “Fratelli d’Italia” l’unica associazione mentale possibile era quella che ti riportava al film del 1989 e ad alcune delle sue memorabili battute, ancora popolarissime sui Social Network e di grande attualità tra i fans del genere.
È successo poi che al patriottico Ignazio Benito Maria (tra i viventi più nostalgici del più noto Benito Amilcare Andrea), al paradosso politico Guido (passato dalla Confindustria delle armi al Ministero della Difesa) e all’ex strillona Giorgia (con evidenti difficoltà a distinguere le declinazioni maschili da quelle femminili), durante un impeto nazional-conservatore ed euroscettico (o post-fascista se preferite), sia venuta la brillante idea di dissolvere quell’innocente associazione mentale per innestare infelicemente nel processo psicologico di ognuno, la connessione di quelle parole ad un nuovo partito politico che stava nascendo: il loro.
Ma se un pezzetto per volta possono anche prendersi l’intero stivale e tutto quello che ci sta dentro, il preconscio è mio e resta mio…e con quello ci faccio le associazioni mentali che mi pare: Fratelli d’Italia, per me, resta e resterà per sempre solo ed unicamente la pellicola scritta dei celebri fratelli Carlo ed Enrico Vanzina e diretta da Neri Parenti.
Una vivace commedia a episodi, il cui titolo è un omaggio al celebre inno nazionale, che offre uno spaccato autentico e quasi celebrativo di un paese che attraversava un periodo di crescita economica e sociale, che guardava con ammirazione al modello d’oltreoceano di Ronald Reagan e, allo stesso tempo, si riappropriava con orgoglio del proprio stile di vita, lanciando mode e tendenze in tutto il mondo.
Al centro della scena troviamo tre storie spassose ambientate in Italia separate tra loro, ma tenute insieme da un elemento comune (la medesima un’auto noleggiata dai diversi protagonisti degli episodi), interpretate da tre dei volti più noti del cinema italiano degli anni ‘80: Christian De Sica, Jerry Calà e Massimo Boldi, un trio già sfruttato dai Vanzina nel precedente Yuppies – I giovani di successo, che torna (con la sola assenza di Ezio Greggio) a ritrarre con ironia e leggerezza il clima di ottimismo e prosperità che caratterizzava l’Italia di quegli anni.
Il soggetto dei Vanzina, che già di per sé contribuisce a trasformare una pellicola indirizzata a perdersi come una goccia in mezzo al mare (come la quasi totalità di quelle dirette da Parenti), in un dignitoso prodotto, si snoda in tre episodi dal ritmo brillante, in un crescendo di situazioni comiche e surreali. I personaggi sono ritratti con ironia: alcuni sono ingenui e sognatori, altri sfacciati e privi di scrupoli, ma tutti finiscono coinvolti in esiti inaspettati e grotteschi. Nel primo episodio il commesso romano Cesare Proietti (De Sica) si appropria dell’identità del ricco Cristiano Gardini, per farsi ospitare a bordo di un enorme panfilo in Costa Smeralda e provare a rubare il cuore della bella ereditiera Turchese De Benedetti (Nathalie Caldonazzo); nel secondo l’impiegato Roberto Marcolin (Calà) scommette con gli amici del bar che riuscirà a sedurre e a portarsi a letto la bella e procace Michela Parodi (Sabrina Salerno), moglie del suo datore di lavoro Gino Sauli (Gian Fabio Bosco); e nel terzo lo sfegatato tifoso milanista Carlo Verdone (Boldi) si finge romanista per non avere problemi con i due esagitati tifosi giallorossi Romolo (Angelo Bernabucci) e Remo (Maurizio Mattioli), caricati in auto mentre facevano l’autostop per raggiungere Roma, in occasione del match tra giallorossi e rossoneri.
L’operazione è riuscita e divertente, aiutata da una buonissima sceneggiatura, da un’efficace direzione e da un cast azzeccato, sia nelle prime linee che nei comprimari. Un modello da prendere ad esempio a dimostrazione del fatto che, se si dispone dello staff adeguato, anche dalle semplici idee si può trarre un importante profitto. De Sica è godibilissimo in quello che sarà il suo cavallo di battaglia per altri trent’anni; Calà è la solita mitraglia di caxxate, da cui però ne saltano fuori un paio di quelle di cui parlavo in apertura che si tramandano ancora oggi, tipo “Sex, Pandoro & Rock’n Roll…Sapore di pandoro, canta Gino Sauli”, oppure “Moira, la tigre del ribaltabile”; Boldi ci regala (inaspettatamente) la sua migliore performance di tutti i tempi, con un personaggio che si avvicina molto a quello che probabilmente è anche nella vita.
Accanto a loro troviamo anche bravi caratteristi come Fabrizio Bracconeri (nel ruolo di Sergio, amico di Cesare Proietti) e i già citati Bosco, Bernabucci e Mattioli che aggiungono ulteriore brio ai dialoghi con battute e situazioni che strappano diverse risate di cuore. A risaltare invece nel cast femminile sono le figure della Salerno, simbolo di bellezza negli anni ’80 (che ancora oggi si difende più che egregiamente), qui anche simpatica oltre che in splendida forma e la Caldonazzo, all’epoca ancora sconosciuta ai più ed infatti accreditata con lo pseudonimo di Nathaly Snell.
Ma Fratelli d’Italia, oltre a far divertire, riesce anche a catturare l’atmosfera dell’epoca, dove il culto del corpo, l’affermazione della moda italiana e la crescita economica definivano uno stile di vita sempre più improntato all’edonismo. Dipinge una società in cui l’italiano medio viveva con spensieratezza e ambizioni sfrenate. Attraverso le tre storie raccontate, i protagonisti inseguono sogni e desideri, alimentati da un periodo storico in cui sembrava che ogni cosa fosse possibile. Ci sono quelli che si atteggiano a figli di celebrità, chi vive d’inganni e chi si dedica con devozione al calcio. Fratelli d’Italia esplora con umorismo tutte le piccole manie ed ossessioni di quel periodo, soprattutto legate al successo personale, alla moda e al desiderio di apparire.
E la leggerezza della narrazione si intreccia con la nostalgia per un paese che appariva più unito e prospero, riuscendo a continuare a far sorridere, ricordando un periodo ormai lontano*, ma che molti rimpiangono ancora oggi.
*Per sicurezza e per non creare spiacevoli equivoci, sottolineo che quando parlo di nostalgia per un “periodo ormai lontano”, non mi riferisco a quello ancor più lontano di cui hanno nostalgia gli “altri” Fratelli d’Italia, anzi…facciamo in modo di ripristinare il titolo del film all’associazione mentale che più ci piace: piantiamola di chiamare il partito col suo nome per esteso e spingiamo la diffusione del suo acronimo FDL…che la sintesi è da sempre considerata un dono e non un vizio.
Alessandrocon2esse
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