Sarebbero molte le premesse che bisognerebbe fare prima di parlare nello specifico di questo film, ma per motivi di opportunità mi limiti a due, a mio avviso le più inerenti al succo della mia recensione.
La prima cosa che mi è venuta in mente al termine del film è che vorrei avere un decimo della fiammella e della passione (oltre alla fortuna, molti, non per scelta, non sono cosi lucidi dopo una certa età) che Clint Eastwood ha per la vita e per il cinema, che poi per lui è la stessa cosa. Avere la voglia e l’entusiasmo a 94 anni di stare ancora dietro a ore di pellicole, continui ciak e montaggi vari (nonostante ormai si sia contornato da numerosi collaboratori, un tempo non era cosi) è una cosa più unica che rara.
La seconda, invece, molto più aderente a questo progetto, è il soffermarmi sui sempre più frequenti trionfalismi che ogni nuovo film di Eastwood (ma di chiunque autore regista sia al crepuscolo) si porta dietro prima e dopo la sua uscita. Di solito, questo è solo un esercizio di stile, la/le classiche iperbole verso un autore infinito a prescindere dalla valenza artistica (per la serie lui non può fare cose orribili) ed è con questo approccio che le avevo lette (d’altronde erano le stesse prima e dopo Mule (The Mule), Richard Jewell e Cry Macho – Ritorno a casa, non proprio produzioni da mettere nel proprio podio) anche per Giurato numero 2.
Sbagliavo, stavolta sbagliavo.
La cosa che più di altre sorprende di questo film è l’infinita serie di considerazioni che ti tira fuori e che riguardano la vita, l’amore, il caso e le scelte. Dal mio punto di vista, che poi è il motivo di queste righe, Giurato numero 2 ci fa una foto perfetta di quanto sia corta la nostra coperta. In pratica, passiamo tutta la nostra esistenza ad aggiustare le cose tirando un po’ di qua e un po’ di la senza però riuscire a trovare mai il perfetto bilanciamento tra temperatura e stabilità. E la cosa non è che riguarda una persona piuttosto che un’altra, magari differenziando per stili e modi fare e pensare, ma per tutti, senza esclusione. Ogni personaggio di questa storia ne viene travolto e ognuno non fa altro che arrangiarsi con quello che ha e che può. Da questo poi si arriva a quello che un po’ tutti (io ho qualche remora) hanno considerato il cuore del film: la differenza tra giustizia e verità. Per carità, non si può dire che in molte occasioni il solco tra le due sia netto ed evidente, ma Eastwood in questo caso vuole soffermarsi nella terra di mezzo, mostrando come le sfumature soggettive possono ridefinire qualsiasi regola scritta e/o pensata.
Non manca, ed è normale che sia cosi per l’impostazione scelta, una vena dubbiosa sul sistema processuale americano, ma, dal mio punto di vista, è più un riflesso dell’anima dell’uomo più che una stortura procedurale. L’uomo di per sé è fatto per andare incontro alla propria soggettività e questo, ovviamente, si riferisce a ogni cosa e anche per chi è sorretto dalle migliori intenzioni.
Proprio questa considerazione mi porta ad arrivare a quello che invece è per me il cuore di questo film: il rapporto tra caso e coscienza. C’è poco da fare, e non è sempre stato cosi nella filmografia di Eastwood, ma quando il destino ci mette lo zampino, noi possiamo fare molte poche cose. In Giurato numero 2 esso è in pratica un protagonista della storia, divampa man mano che gli eventi vanno avanti sino alla sua massima espansione, che coincide con la conoscenza e quindi, appunto, la coscienza. Ed è su questa che probabilmente il film raggiunge il suo apice di bellezza. Avvisando che da qui si andrà incontro a qualche spoiler, gli ultimi minuti sono un canto sublime alla nostra natura di uomini. Clint non ci dice nulla di quello che succederà, ci chiede a noi di fare la scelta, ognuno per quelle che sono le proprie inclinazioni e il proprio modo di vedere la giustizia. Nessun moralismo, nessun giudizio a prescindere, solo la considerazione che le cose sono molto più complicate di quello che si possa pensare. Noi camminiamo su una montagna di sfumature ogni giorno e lo facciamo spesso in maniera ondivaga: a volta più nello scuro e altre più sul chiaro. Certo le cose se vanno a influire nella libertà altrui sono diverse, ma l’anima è e rimane un mistero e a volte solo quella è o diventa la discriminante.
Giurato numero 2 è un film bellissimo e mi auguro con tutto il cuore che sia il lascito dell’immenso Eastwood. Ma penso che non sarà cosi. Per lui stare in mezzo agli attori, al casino dei tempi, alle luci, alla notte e alle infinite riprese è come respirare e lo farà sino all’ultima stilla di forza. E la cosa paradossale e bellissima è che, nonostante come detto si sia contornato di molti più collaboratori del passato, l’ultima parola è e rimane la sua, quasi che voglia sempre avere oneri e onori su tutto quello che fa, sino alla fine.
Chiudo, e se le è meritato pienamente, parlando di Nicholas Hoult. Da qualche parte ho letto che il suo grande merito è stato quello di riuscire a reggere in maniera meravigliosa ogni primi piano esaltandolo ogni volta di più. Mi trova assolutamente d’accordo e non credo che un attore possa avere pregi molti superiori.
Jonhdoe1978
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