Qualunque cinefilo appartenente al globo terracqueo che abbia avuto modo di apprezzare le precedenti pellicole della tetralogia Pane, amore e… (soprattutto la prima e la terza), guardando Pane, amore e Andalusia, quarto ed ultimo episodio dopo Pane, amore e fantasia e Pane, amore e gelosia di Luigi Comencini e Pane, amore e… di Dino Risi, si troverà ad affrontare quell’ostile senso di insoddisfazione che solitamente si prova alla fine di un considerevole ed appagante pasto che, però, non prevede il dessert finale.
La debole commedia del 1958, diretta da Javier Setó sotto la supervisione di Vittorio De Sica, nacque quasi certamente solo per sfruttare la scia di grande successo dei film precedenti, ma la co-produzione italo-spagnola e la trasferta in terra andalusa del successo non hanno sentito nemmeno il profumo controvento, regalando uno scadente epilogo all’intera saga.
Il soggetto non cambia, con due donne, una innamorata del maresciallo Antonio Carotenuto ed un’altra di cui lui si innamora, ma dalla quale non viene ricambiato. L’azione stavolta si divide tra Sorrento e Siviglia, ma i meccanismi e le situazioni narrative che alimentano le avventure del maresciallo restano le medesime, risultando blande, risapute e a tratti noiose.
Le idee sono esaurite e dietro la macchina da presa non ci sono né Comencini, né Risi…e si vede. Setó, più che a provare a dare brio al debole soggetto, punta tutto sull’esteriore appariscenza del bel colore, sulla recitazione di De Sica e sul fascino della diva spagnola Carmen Sevilla che, non sarà una brava attrice Gina Lollobrigida e Sophia Loren, ma in quanto a charme e presenza scenica non ha da nulla da invidiare alle più note colleghe italiane. Però non basta. La regia risulta poco incisiva, le situazioni sanno di “riciclo” e le occasioni di sorriso, alla fine dei conti, sono veramente troppo poche.
De Sica che, nonostante metta in mostra una classe, una simpatia ed una bravura che non si comprano di certo al mercato di quartiere, appare un po’ svogliato rispetto alle uscite passate. Probabilmente troppo preoccupato dal triplice ruolo da attore/supervisore/produttore dà l’impressione di non essere del tutto convinto dell’intera operazione, lasciando navigare il suo personaggio per inerzia, quasi per caso, invece di posizionarlo al timone della nave come nei precedenti capitoli. Resta comunque tra le poche cose che si salvano alla fine.
Positivo è l’inserimento del grande Peppino De Filippo, nel ruolo di Peppino, figlio del sindaco di Sorrento. Dai suoi duetti con il gigioneggiante De Sica saltano fuori la quasi totalità delle risate dell’intera pellicola. Risate che si sarebbero potute moltiplicare esponenzialmente, se solo fosse stata riconfermata nel Cast la presenza di Tina Pica nel ruolo di Caramella. La sua sostituzione con Dolores Palumbo, nei panni della governante Mariannina, ci priva uno dei personaggi più amati dai fedelissimi della saga e che maggiormente era cresciuto nei precedenti capitoli. Sono convinto che sia Comencini che Risi si sarebbero fatti tagliare un braccio piuttosto che rinunciare alla Pica. Ulteriore indizio a conferma dei dubbi sollevati riguardo a Setó, palesemente non all’altezza di chi lo aveva brillantemente preceduto.
Pane, amore e Andalusia, oltre che ad essere uno dei primi esempi della nostra storia cinematografica ad insegnarci che, anche se ci ha premiato altre volte, non è mai consigliabile scommettere continuamente sullo stesso numero e che, soprattutto, anche il pubblico più affezionato e conservatore ha bisogni di nuovi stimoli, appare come un disperato e, alquanto mal riuscito, tentativo di far incrociare il folclore partenopeo con la tradizione spagnola…senza però né pastiera e né churros a lasciarci il dolce in bocca.
Alessandrocon2esse
Ti è piaciuta la recensione? Seguici anche su Instagram e Facebook
Lascia un commento