
C’era una volta il…cinema.
Questo terzo capitolo della trilogia sul crimine avrebbe dovuto essere, dopo la mal riuscita del primo e la ripresa evidente del secondo, la cartina di tornasole di tutto il franchise. Per bocca del suo autore Massimiliano Bruno, infatti, ma i dubbi vista la fine (ci torneremo) rimangono, questo dovrebbe essere l’ultimo film e in quanto tale la suo funzione va ben oltre la sua singola valenza andando per forza di cose ad arricchire o annichilire il discorso generale iniziato nel 2019. Purtroppo quello a cui assistiamo è una Caporetto senza appello che non solo non ci dà assolutamente nulla come film in quanto tale ma in qualche modo denigra tutto quello fatto sia in termini di pura continuità narrativa che di chiusura di un cerchio.
L’inizio è confuso e soprattutto completamente fuori quella che era stata la fine di Ritorno al crimine. Molti dei componenti della banda, i motivi vanno oltre la genesi del film e riguardano scelte personali degli attori, non ci sono più e molto viene glissato con spiegazioni che sanno molto di arrangiato. Se questo incipit in qualche modo ti disorienta, ero lecito aspettarsi una prova corale definitiva di tutti quelli che erano stati i protagonisti della trilogia, il proseguo ti annichilisce e questo sia per la costruzione generale poco attendibile e molto forzata che per la superficiale struttura delle linee madri della storia.
In pratica e semplificando: non si entra mai nelle pieghe del racconto che rimane assolutamente debole e, a tratti, idealmente incomprensibile. Se nel primo capitolo per esempio, nonostante l’errata gestione generale un minimo di senso logico sui viaggi del tempo e sulla loro ripercussione si era avuta, qui neanche quella. E non basta dire e pensare che questo è un film diverso (di certo non parliamo di Ritorno al Futuro!) per ammorbidire questa mancanza e questo perché mancano proprio le basi per aggirare questo approccio: il divertimento. Non si ride praticamente mai e quasi tutte le gag (tranne magari un paio) sono lente, stantie e molto ma molto basilari.
Nel secondo capitolo la strutturalità della situazione era riuscita ad esaltare i paradossi narrativi. I secondi senza la prima non hanno possibilità di essere e perdono, come accaduto qui, qualsiasi appiglio emotivo che riesca a renderli più vicini di quello che in realtà sono. In pratica l’ilarità e la buona predisposizione alla storia creata da subito (solo nel secondo, nel primo come detto no, almeno dopo l’inizio) era riuscita a mitigare le semplificazioni dandogli un sapore più corposo ed è quello che avrebbe dovuto fare, a maggior ragione vista l’ulteriore estremità della situazione, anche C’era una volta il crimine. E invece la sensazione è di un qualcosa che è stato fatto perchè si doveva e che cerca di reggersi solo sulle singole capacità, Giallini qualche sorriso te lo ruba sempre, dei singoli. Anche la moralità, la storia e la voglia di provare a essere qualcosa di migliore, presente questa si in entrambi i primi due capitoli, qui e sfuggente e assolutamente poco coinvolgente. Non so se perché arriva quasi alla fine del film e quindi l’aspettativa era ormai quasi a terra o proprio per la costruzione farraginosa e forzata. Opterei per entrambe.
Alla fine della recensione di Ritorno al crimine avevo sottolineato la necessità, cosi come successo tra il primo e il secondo film, di fare una sorta di tabula rasa redistribuendo cosi i termini dell’attenzione e della sorpresa. In sostanza: cavalca le basi della banda allargata ma smistale in un ambito nuovo ma altrettanto composito e interessante. Purtroppo nulla di tutto ciò è stato fatto e questo (come più volte detto, l’ultimo miglio influenza tutti quelli fatti) evidentemente non solo ha reso povero e oggettivamente brutto il singolo film, ma ha intaccato, appunto, tutto il percorso, nonostante c’è da dirlo, personalmente non mi ha mai entusiasmato.
Tutta questa frammentarietà trova però il suo apice (ovviamente da qui spoiler) nella fine che, considerato che si è proprio sottolineato che non ci sarà un seguito, non può non essere considerata sconcertante. Non spiega nulla, l’inizio del film e i portali a tempo andavano in qualche modo spiegati, e lascia tutto cosi come se non fosse mai successo. E’ come se stai guardando una partita di calcio e all’improvviso all’85 tutti i giocatori senza dire una parola escono dal campo. Cosa gli è successo? Quali sono le loro prospettive ora? Quali sono le ripercussioni temporali della scelta di Giuseppe? Che fine ha fatto e quando potrebbe tornare il personaggio di Sebastiano (la cui assenza si è indubbiamente sentita)? La fine di una trilogia dovrebbe dare risposte, non crearle, o almeno se lo vuole fare è per stimolare l’immaginazione e la fantasia dello spettatore. Qui non è c’è nulla di tutto questo e sorprende il fatto che sia stata commissionata una serie sullo stesso tema che dal mio punto di vista parte già da un handicap importante: manca Alessandro Gassmann. E’ vero che un processo narrativo non può essere fermato dalle scelte personali di uno, ma è anche vero che un percorso a tappe ha bisogno di certezza e di continuità, cosa che il pur bravo Giampaolo Morelli (la testata devo essere onesto mi ha fatto ridere parecchio) non poteva per forza di cose trasmettere. L’unica speranza è che la serie risponda a qualcuna delle domande fatte e non cerchi solo un suo spazio autonomo sul quale evolversi. In caso contrario anche se fatta bene risulterebbe se non proprio zoppa almeno claudicante.
Jonhdoe1978
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