
Los Angeles. Jake Hoyt (Ethan Hawke) è un giovane poliziotto al suo primo giorno di servizio per entrare a far parte della squadra antidroga. Viene affiancato all’ esperto e pluridecorato Alonzo Harris (Denzel Whashington), il quale deve valutare se Hoyt sia idoneo oppure no. I due hanno approcci molto diversi al loro mestiere: mentre infatti Jake rispetta alla lettera il manuale, Alonzo preferisce confondersi con la strada e adottare un modo di fare molto più pratico.
La giornata scorre frenetica: fra studenti che vengono fermati per aver acquistato della marijuana, amicizie “particolari” nel giro della droga come il narcotrafficante Roger (Scott Glenn), tavolate con poliziotti di grado elevato come Stan Gursky (Tom Berenger), Doug Roselli (Harris Yulin) e Lou Jacobs (Raimond J. Barry), perquisizioni non autorizzate e visite a quartieri sotto il totale controllo di gang, dove vive Sara (Eva Mendes), la donna di Alonzo ed il loro bambino.
Un thriller poliziesco dove tutto si incastra alla perfezione, come gli ingranaggi di un orologio di lusso che scandisce i secondi delle 24 ore del primo giorno di Training di un giovane poliziotto. Nulla è fuori posto in questa pellicola “On the road” diretta dal regista Antoine Fuqua e sceneggiata da David Ayer che, oltre alla carriera dietro la macchina da presa, hanno in comune l’ essere cresciuti nei bassifondi di Los Angeles, partecipando attivamente all’ interno di vere gang.
Probabilmente è proprio per questo ultimo particolare che Training Day raggiunge da subito la pancia dello spettatore (piccolo prologo a parte ovviamente) e non la lascia mai, per più di due ore, fino all’ epilogo finale…risultando fluido, lucido e senza mai scadere in alcun cliché.
Due poliziotti a confronto e due modi alle antipodi di indossare il distintivo. Il giorno e la notte, il bianco e il nero (in tutti i sensi), il bene e il male…due lati della stessa medaglia che si ritrovano a vivere e “respirare” la strada, ma con regole diametralmente opposte: uno che segue a menadito il manuale del perfetto poliziotto, l’ altro che ha scelto di immergersi e fondersi completamente nel marciume della corruzione per trovare il suo equilibrio.
Le straordinarie interpretazioni dei due protagonisti, nel loro serratissimo confronto, rendono il film un vero e proprio capolavoro del genere. Denzel Washington si aggiudica il suo secondo Oscar (il primo come Miglior Attore Protagonista e secondo attore di colore ad aggiudicarselo, ben 38 anni dopo Sidney Poitier) regalandoci la personificazione del “carisma”: camminata dritta e decisa, look da duro, sguardo fiero e cattivo, lingua tagliente ed ottime abilità oratorie e impugnatura della pistola da gangster. Ethan Hawke è invece la “purezza” che, messa a dura prova, si trasforma dapprima in delusione per quell’ ideale infranto dal collega corrotto Alonzo, poi in paura ed infine in coraggio…il tutto raccontato dalla faccia pulita dell’ alunno dell’ Attimo fuggente diventato ormai adulto e capace di reggere i panni di un ruolo che, oltre a risultare molto più complesso del previsto, deve scontrarsi con la mastodontica performance di Washington.
Numerose poi sono le citazioni del film entrate nella storia. Una su tutte è quella che forse racchiude l’ essenza del film stesso: “Per proteggere la pecora, bisogna uccidere il lupo. E solo un lupo può uccidere un lupo. Sei tu che devi decidere se diventare un lupo o restare una pecora“. Una pellicola basata sulla forza delle “parole”, diversamente utilizzate dai due protagonisti (uno più formale ed impacciato, l’ altro più volgare e spinto), ma che arrivano dirette come un pugno allo stomaco e restano ben impresse nella mente dello spettatore. Parole, frasi e citazioni che fluttuano comode su una azzeccatissima colonna sonora contestualizzata al racconto, fra cui spiccano i “pezzi” di Macy Gray, Snoop Dogg e Dr. Dreche, protagonisti anche (senza assolutamente sfigurare) di piccoli cameo, rispettivamente nei ruoli della moglie dello spacciatore Sandman, lo spacciatore in carrozzella Blue e Paul, uno dei poliziotti corrotti della squadra di Alonzo.
L’ unico momento in cui il film sembra trovare una flessione è il finale…giudicato da tanti come una forzatura banale per il più classico dei “Lieto fine”. A prescindere dalle voci di corridoio che circolano, su una presunta pressione da parte della Warner a modificare il finale in modo da far tornare Hoyt sano e salvo a casa, non sono d’ accordo sul fatto che il finale sia un inno al buonismo.
Certo…tutto quanto è costruito affinché lo spettatore empatizzi con Hoyt, ma a parer mio (nonostante la mia profonda repulsione verso il “…e vissero tutti felici e contenti”) il finale non poteva essere diverso da quello che conosciamo, per una sola ragione: le scelte. Più volte durante il film, l’ agente Hoyt si ritrova a dover prendere delle scelte, tutte complesse e che da una parte lo allontanano da i suoi valori ed ideali e tutto quello che lo ha spinto ad indossare la divisa, dall’ altra rischiano di portargli via il sogno di una vita ed entrare a far parte della squadra antidroga. Basta pensare alla scelta di Hoyt di salvare dallo stupro Letty (Samantha Esteban), azione che alla fine lo salverà dalla furia omicida dei messicani Smiley (Cliff Curtis), Moreno (Noel Guglielmi) e Sniper (Raymond Cruz), una scelta che trasformerà una sicura esecuzione in una semplice “Questione di affari”.
Alessandrocon2esse


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