
Billy “The Great” Hope (Jake Gyllenhaal) è il campione del mondo dei pesi mediomassimi, mai battuto. La sua storia, come quella di sua moglie Maureen (Rachel McAdams), è quella di un orfano cresciuto in uno dei tantissimi difficili quartieri di New York che, grazie alla boxe, ha ottenuto riscatto sociale, ricchezza e ha formato una felice famiglia. Non più giovanissimo valuta i suoi passi con attenzione, consigliato dal suo manager Jordan Mains (50 Cent) e soprattutto da sua moglie. Billy ha ormai quasi deciso di ritirarsi, quando in una serata di beneficenza viene provocato da un suo rivale, Miguel “Magic” Escobar (Miguel Gomez). Ne consegue una rissa fra i pugili ed i loro team con tanto di colpo di pistola che finisce per colpire ed uccidere Maureen. Da quel momento la vita di Billy entra in una rapida spirale discendente, fatta di alcool, depressione, rabbia e frustrazione che lo portano in pochissimo tempo a perdere casa, soldi, titolo e sua figlia Leila (Oona Laurence) che viene affidata ad una casa-famiglia. Allenato da un carismatico allenatore, Titus “Tick” Wills (Forest Whitaker), riuscirà ad ottenere una possibilità per confrontarsi con Escobar e riprendersi la sua vita.
Affermare che il regista Antoine Fuqua sia afflitto da una patologica “misoginia” cinematografica, è un po’ come scoprire l’ acqua calda. Un regista che attraverso il suo capolavoro Training Day e a Brooklyn’s Finest ci ha dimostrato di conoscere alla perfezione la cultura dei bassifondi americani ed i meccanismi che portano chi ci nasce a puntare ad un’ ascesa economica e culturale…con Shooter, L’ ultima alba, The Equalizer e Attacco al potere ha confermato di essere esperto dell’ Action, ma tutto questo senza mai confrontarsi con ruoli femminili di spessore…ma nemmeno di poco spessore a pensarci bene.
Accettare di girare un film ad altissimo rischio di paragoni con mostri sacri del genere, è sicuramente un atto coraggioso che merita rispetto, ma nel cinema non basta “partecipare”…l’ obiettivo finale deve essere sempre quello di vincere. E l’ inizio in realtà ha un potenziale ottimo…una storia realmente accaduta, molto simile ad un collage dei migliori film della saga di Rocky, ma che ha nella moglie di Hope un personaggio mai visto prima in una pellicola sui generis: non solo una donna “guerriera” capace di mettere sotto manager e allenatori (nonostante le unghie lunghe e le extension), ma una vera e propria versione al femminile dello stesso protagonista, arrivata da una situazione ugualmente drammatica e che ha nel cervello la marcia in più, rispetto ai soli muscoli e rabbia di Hope…senza dimenticarci della bravura della McAdams naturalmente.
Il dramma della violenta ed improvvisa morte di Maureen è il vero dramma di Fuqua e di tutto il film, poiché il regista non è riuscito a dare nulla di nuovo e di non visto già nelle pellicole precedenti sul genere, limitando addirittura l’ azione (che doveva essere il suo forte) ai soli tre incontri di boxe visibili nel film…su cui preferirei desistere dall’ esprimere un giudizio estetico. In pratica, i 20’ iniziali in cui tutto fila liscio e non ci sono intoppi nella storia, risultano essere i migliori dei 124’ totali.
Nemmeno Whitaker riesce a dare spessore al piattume del film. La sua bravura è troppo imprigionata all’ interno di un insulso e prevedibilissimo ruolo, anche questa volta troppo simile ad altri coach/manager già visti e rivisti.
Mi spiace risultare eccessivamente cattivo e categorico riguardo ad un film sul pugilato, ma al termine della visione di Southpaw non penso siano rimasti delusi soltanto gli amanti del genere come il sottoscritto, trovo sia stata un’ operazione offensiva anche per tutto il pubblico di basse aspettative…poiché è davvero impossibile restare indifferenti ad un tale polpettone di luoghi comuni e retorica, con contorno di cazzotti e sangue (decisamente troppo anche quello).
Alessandrocon2esse


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