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Ricomincio da capo (1993) di Jonhdoe1978

Contrassegnato con: Recensione Ricomincio da capo, Ricomincio da capo

Ricomincio da capo Interna

Vi è mai capitato di voler, un secondo dopo una frase o un gesto, tornare indietro per comportarvi diversamente? Se la risposta a questo domanda è scontata lo è certamente di meno quella se l’eventuale cambiamento dell’azione sia derivante solo dalle conseguenze o da un’intima convinzione dell’errore. In pratica chi saremmo veramente se fossimo liberi di agire impunemente?

Phil Connors (Bill Murray) è un meteorologo pieno di se e con poco rispetto per la gente. Per il quarto anno di fila viene mandato dall’emittente per la quale lavora, insieme a Rita (Andie MacDowell) e Larry (Chris Elliott), a Punxsutawney, in Pennsylvania, per raccontare il giorno della marmotta, pittoresca tradizione popolare per stabilire quanto inverno ancora ci sarà. Finita la giornata e il reportage, i tre si rimettono in macchina per tornare a casa ma una tormenta li costringe a restare un’altra notte nella piccola cittadina. Tutto sembra normale se non che alle 6.00, al nuovo risveglio, al suono di I Got You Babe di Sonny & Cher, Phil si rende conto che per lui è di nuovo il 2 febbraio, il giorno appena trascorso.

Il loop temporale, a livello cinematografico, è un tema che soprattutto nell’ultimo decennio, in modi e approcci a volte diversi, è stato utilizzato più e più volte. Il tornare indietro, rivivere e cambiare passato, presente e futuro è diventato cosi un argomento molto familiare tanto da essere ormai in qualche modo considerato credibile o almeno possibile e vicino. Come ogni cosa anche questa ha avuto un punto zero, una storia origine dalla quale tutto è partito e si è sviluppato. E in questo caso tale matrice è proprio Groundhog Day (in italiano Ricomincio da Capo), film diretto e sceneggiato, sulla base del soggetto di Danny Rubin, da quell’istrionico e talentoso Harold Ramis e diventato con gli anni un punto di riferimento del genere.
L’idea di per se geniale concettualmente, intrappolare il protagonista in un arco temporale definito è comunque ammaliante, aveva un grande rischio: la ripetitività. Il perdere dopo un’iniziale curiosità e perché no, stupore, del suo appeal generale trasformando un paradosso fisico, e quindi emotivo, in un racconto senza troppi sussulti. E invece il film, nonostante le frizioni tra regista, voleva un approccio da commedia, e Bill Murray, indirizzato verso l’intimo/drammatico, non solo non è mai scivolato nel banale ma è riuscito a sciorinare con brillantezza e dovizia di particolari tutta l’intricata e altalenante moralità umana. Il ventaglio di possibili scelte, dall’impunità all’approfittare di nozioni e notizie conosciute passando per la disperazione e la speranza, in un caso del genere sono praticamente infinite e vanno a rispecchiare quella conscia e inconscia attitudine variabile alle azioni che tutti abbiamo. La trasversalità di Groundhog Day sta nell’aver fornito, prima dell’epilogo personale del protagonista, praticamente tutte queste alternative permettendo a chi lo guardava di trovare la propria coincidenza. Anzi in molte circostanze le dinamiche del film hanno superato persino le fantasie e questo senza mai dare l’impressione, condizione a mente fredda imprescindibile, di esagerare o uscire dal mentalmente accettabile.

E’ ovvio che man mano che i minuti passavano l’inclinazione cosi variopinta della storia doveva trovare una linea più nitida (continuare a spaziare alla lunga sarebbe stato impersonale) onde arrivare al messaggio e alla spiegazione pensata. Nel primo la metafora si fonde con le priorità scrostando Phil di tutto il superfluo (dopo però avergli fatto provare ogni cosa, condizione importante per ritrovarsi anzi trovarsi pienamente) permettendogli di scoprire quante vere necessità si annidavano in lui. Di contro la motivazione di questo loop invece, saggiamente, non viene specificata pienamente (come era inizialmente previsto da copione) lasciando cosi ad ognuno lo spazio nel quale adeguare la propria fantasia e, come nel caso della fine, il proprio grado di emotività. E’ chiaro che il taglio scelto, che poi concettualmente alla lunga era inevitabile, è stato quello morale attraverso l’esaltazione dei sentimenti contro il possedere e lo sfruttare. Se questo come detto era di per se attendibile, molto meno lo era il modo con cui raccontarlo che risulta in tutto il film essere non solo meravigliosamente coinvolgente ma anche e soprattutto, delicatamente intimo e stimolante. Il viaggio interiore del protagonista si sviluppa o meglio parte, infatti, su tutta una serie di errori che poi con il tempo si trasformano in realizzazione e consapevolezza. Questo inferno apparentemente immutabile (vede e prova ogni cosa più e più volte) attraversa lo schermo per stritolarci e instillare in noi prima le risposte e poi le domande, invertendo cosi di fatto la normale logica. In maniera naturale, insieme a Phil, infatti, perdiamo la cupidigia e la lussuria della situazione per immergersi in quello che realmente sono le cose che ci potrebbero realizzare e che poi a conti fatti, seppur con una sfumatura assolutamente personale, non possono che essere l’amore e la condivisione. Tutto quello che facciamo senza un qualcuno con il quale condividerlo o peggio, condiviso senza memoria, è qualcosa di insopportabile e innaturale, un controsenso di quella che è, appunto, la nostra natura. Abbiamo bisogno di scegliere se dire addio o a domani pena soffocare completamente pulsioni, istinti e soprattutto, passioni.

Bill Murray riesce a fare suo questo difficile processo, portando il suo personaggio a esaltarsi, odiarsi e amare con la stessa intensità esaltando cosi la percezione della storia oltre il suo semplice consequenziale svolgimento. Andie MacDowell si conferma quello che negli anni novanta è sempre stata: una buona spalla su cui far girare i veri o il vero protagonista.

Ritengo Groundhog Day è uno di quei film che ha trasmesso più di quello che voleva nelle intenzioni. Il processo temporale sulle possibilità e sulle continue scelte di fronte alle stesse situazioni ha aperto, infatti, e cinematograficamente poi l’abbiamo visto, un temo quasi filosofico sulla scoperta del proprio io e dell’intimità motivazionale.
La sovrapposizione corazza emotiva/andare normale delle giornate, senza questo “scossone”, in Phil non si sarebbe mai modificata creando in lui, e di conseguenza in tutti quelli che conosceva e che avrebbe conosciuto, una sorta di indifferenza continua con un’attenzione alternativamente troppo analitica o superficiale. Il finale del film ci mostra, infatti, come pensare troppo o meglio programmare troppo, può essere controproducente, esattamente come lasciare andare soffermandosi troppo su se stessi. Per quanto tempo ci voglia, e questo Groundhog Day metaforicamente ce lo dice con forza, bisogna continuare a provare, sbagliando, soffrendo e imparando e questo almeno sino a quando, qualunque ora sia e qualunque giorno sia, non ci svegliamo con uno strano sorriso da voler e soprattutto, poter condividere.

Jonhdoe1978

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Ricomincio da capo

Ricomincio da capo
7.7

Valutazione Complessiva

7.7/10

SCHEDA

  • Regia: Harold Ramis
  • Anno: 1993
  • Durata: 101'
  • Genere: Commedia/Fantastico

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