La sindrome di Peter Pan, scientificamente, è quella situazione nella quale una persona si rifiuta di crescere, allontanando ed evitando così responsabilità e/o complicazioni. Dal punto di vista sociale, invece, lo stesso termine si riferisce ad un adulto che in qualche modo cerca di allontanare gli anni che passano, concedendosi qualche leggerezza comportamentale o di pensiero. Vista in quest’ultima ottica, tutti prima o poi abbiamo avuto e avremo tale sindrome, se così non fosse vuol dire che non siamo mai stati Peter Pan e questo sarebbe tutto un altro discorso.
Il mio fastidio per la realizzazione di questi live action dei classici Disney è pari solo all’adorazione che ho per gli originali. Rimango convinto, a ogni nuovi film tale considerazione in me si rafforza, che per apprezzarli è necessario avere la mente libera e un’età che non vada più indietro (e forse anche troppo) del 2007/2008. Nella prima categoria rientrano tutti quelli, compreso il sottoscritto, che sono cresciuti con quei film e che quindi non possono non provare fastidio e imbarazzo, nella seconda chi per generazione ritiene quella parte visiva lontana preferendo cosi tutta l’evoluzione tecnologica di gestione delle storie.
Queste considerazioni, profondamente radicate in me, come conseguenza, mi portano ad approcciarmi a ogni nuova produzione del genere in maniera molto distaccata e, colpevolmente, prevenuta. Di certo l’inizio di Peter e Wendy non mi ha aiutato: la protagonista è di quando più lontano da quella sempre descritta e immaginata e Trilly, il biondo campanellino che diventava rosso di rabbia, trasformato per soddisfare quell’esigenza sociali a cui (è un mio problema) non mi abituerò mai. Riassumo dicendo che una storia è una storia, con i suoi personaggi e le sue caratteristiche e cosi come non sopporterei di vedere Tiana interpretata da una scandinava allo stesso modo trovo incoerente vedere Trilly o la fata turchina (come è successo) mulatta o di colore.
Detto questo e a differenza di quasi tutti i live action, con all’apice l’incommentabile Pinocchio, Peter e Wendy piano piano si assesta e con mio grande stupore alla fine trova un suo perché. David Lowery, ottimo il suo Niente santi in Paradiso, ha preso la storia per quella che era per poi dargli un taglio completamente diverso e che vede esaltare più l’anima dei personaggi che il loro sfondo di azione. In pratica, che Peter Pan rappresenti quella voglia infinita di non crescere lo sappiamo ed era quindi superfluo metterlo al centro del progetto. Diverso il rapporto tra lui e Wendy (del titolo parleremo a breve) e soprattutto con il suo vero alter ego o meglio, la persona che giustifica la sua esistenza: Capitan Uncino. Da un certo punto in poi, se si esclude la parte finale, sono loro due i protagonisti e soprattutto la particolarità che distanzia questa storia da tutte quelle che conosciamo. L’isola che non c’è all’improvvisa si trasforma in stanza dei segreti nella quale carpire l’abisso dell’animo umano e della necessità, li come nel nostro mondo, del bianco e del nero, del giusto e dello sbagliato, del giorno e della notte. E lo fa con una capacità tale che il messaggio che l’uno non è per forza meglio dell’altro arriva in pieno. Il sorriso finale di Capitan Uncino è geniale e ripropone quel concetto di circolarità e immortalità che alla fine la storia di Peter Pan e dell’isola che non c’è ha sempre voluto trasmettere. Se ci pensiamo bene, infatti, le generazioni passano, le abitudini passano, i modi di pensare passano, i problemi e le visioni cambiano ma quello che infonde nell’anima il piccolo uomo in calzamaglia verde rimane ogni volta lo stesso. Potremmo dire, senza possibilità di sbagliare, che la magia e il sogno non hanno padroni e basi sociali e che quindi trovano ogni volta il terreno adatto per nutrirsi e travolgere.
Non tutti sanno che l’opera di J. M. Barrie, Peter Pan. Il bambino che non voleva crescere (poi acconciata semplicemente in Peter Pan) quando fu portata a teatro e trascritta alcuni anni dopo in romanzo, prese il titolo di Peter Pan e Wendy. Ecco già il fatto che si abbia avuto l’accortezza storica di riportare l’effige originale a mio avviso è un grande merito. Certo poi i limiti sono tanti, il più grande di tutti è evidentemente l’impresentabilità dell’attore Alexander Molony nei panni del protagonista, ma, come detto, molto meno di quello che si potesse pensare. Il copione regge, il continuo non mi piace questo episodio è armonioso e soprattutto reale. Quello che ci hanno sempre raccontato alla fine è ed era solo un episodio e per quello deve e doveva essere preso, ribadirlo è stato quasi coerente.
Importantissima dal mio punto di vista, la presenza di Jude Law nei panni di Capitan Uncino. Non voglio scomodare Dustin Hoffman, ma l’interpretazione è di quelle importanti, sempre nell’ambito di quello che si voleva rappresentare. Probabilmente tale risultato è stato esasperato dalla poca consistenza del restante parco attori, che in moti tratti è stato, ed è un eufemismo, al limite del decente.
Sino ad ora credo di aver detto tutto e il contrario di tutto. Riassumendo: non sopporto queste operazioni live action, gli attori sono stati, protagonisti in primis, decisamente sotto la sufficienza e la storia, dopo un inizio shock, una serie di momenti altalenanti. E allora la domanda è: perché alla fine come detto nelle prime righe, la sensazione che ho avuto al termine è che abbia funzionato? La risposta è semplice, l’emozione che suscita un film non è per forza la somma dei singoli elementi, ma quanto nel suo complesso riesce a tirarci fuori. E Peter e Wendy, contro ogni pronostico, qualcosa me l’ha tirata fuori. Ad esempio, e qui chiudo, il cartone animato (la serie, disegnata malissimo, molto di più) non mi hanno mai lasciato quel senso circolare e continuativo a cui la storia evidentemente mirava, cosa che invece questo film mi ha trasmesso. E il fatto che alla fine mi sia immaginato Peter Pan e Capitan Uncino in perenne baruffa in barba al tempo e alla vita qualcosa di certo vorrà dire e che va indubbiamente oltre i miei pregiudizi di un’operazione che continuo con forza a ritenere sbagliata e inutile.
Jonhdoe1978
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