
L’Italia ha bisogno della sua commedia, del modo ironico e leggero di vedere se stessa e il mondo che la circonda. L’unico limite è non perdersi nel banale e su una retorica in cui non ritrovarsi.
Tre amici per sbarcare il lunario offrono un Tour a Roma nei luoghi simbolo della “Banda della Magliana”. Durante uno di questi, attraversano un portale spazio-temporale che li porta nel 1982, gli anni d’oro della Banda stessa.
Il titolo, considerando il viaggio del tempo come argomento principale, si ispira chiaramente a “Non ci Resta che Piangere”, capolavoro inarrivabile firmato Troisi/Benigni.
Già questa premessa sarebbe motivo di “rancore”. L’avvicinare questi due film alla stessa categoria, il cinema, è, a mio avviso, una tortura intellettuale che qualsiasi spettatore con un minimo d’interesse per la Settima Arte non dovrebbe subire.
La storia è tempestata di falle, di dinamiche senza senso, di situazioni paradossali messi li senza nessuna logica o spiegazione. Ma la cosa più destabilizzante è che non fa ridere, fine ultimo del film. Riesce, infatti, a strapparti al massimo, un paio di sorrisi, dovuti più che altro alle figure caricaturali dei protagonisti che da un armonico e coinvolgente sviluppo dei momenti.
Le scene sono quasi tutte piatte, accomunate dal vorrei ma non posso e con l’ottimo cast di cui si dispone è quasi un delitto. Loro, gli attori, sono bravi e riescono, in parte, a salvare un film che altrimenti risulterebbe disastroso. Giallini è talmente bravo che riuscirebbe a rendere credibile e reale anche il Pulcino Pio. Stessa cosa per Edoardo Leo che, anche se lontano da Giallini, riesce sempre a rendere interessanti e avvolgenti i suoi personaggi.
Le gag sono spente, forzate e scialbe, è evidente l’intento di ripercorrere gli anni 80, magari in chiave moderna, ma non ci si riesce praticamente mai. Il tentativo di rappresentare in maniera comica/malinconica il passaggio tra quello che eravamo e quello che siamo è altrettanto poco riuscito cosi come il provar a mischiare tanti diversi generi ha reso il film una confusa rappresentazione della realtà. Anche la pur brava Ilenia Pastorelli, dopo un buon inizio, si affievolisce, adeguandosi al tenore monocorde della storia. E’ un continuo attendere qualcosa, alla fine di ogni scena ci si aspetta sempre il cambio di passo e invece il film continua sulla sua anonima falsa riga trascinandosi stancamente alla conclusione. Da salvare pienamente sono le ambientazioni e la ricostruzione della Roma anni 80, il contrasto con i colori dei nostri giorni è evidente e ben bilanciato oltre che realistico.
Detto questo, la parte più debole di questa produzione (ed era complicato) è la fine e questo sia per come ci si è arrivati che proprio per il suo significato. Nel senso che non c’è nessun messaggio su cui soffermarsi ma solo un rimando a un inevitabile sequel nel quale trovare una generale motivazione e cuore. Ora, non sono contrario per principio ai continui, la storia del cinema è piena di esempi di alto livello che però avevano la caratteristica di seguire una bella e performante idea iniziale. E il problema sta proprio qui: l’idea di un sequel su un qualcosa di già profondamente imperfetto e deludente è pericolosa e, soprattutto, rischiosa. Non rimane che aspettare e vedere la piega che la produzione vuole prendere sperando di assistere a uno spettacolo diverso e che riesca a valorizzare attori e contenuti.
Jonhdoe1978
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