C’è un comune filo che lega tutte le coppie del mondo: il pensare almeno per una volta che la loro storia durerà per sempre. Questa sensazione con il tempo si trasforma diventando in alcuni casi una pura chimera e in altri una dolce certezza. In entrambi però la sua evoluzione è la base su cui fondare molte delle scelte del presente e del futuro.
Gilberto Mercuri (Carlo Verdone) è un professionista ottico molto stimato, sposato da oltre vent’anni con Tiziana (Laura Morante) e padre di una figlia alla soglia dell’adolescenza. Una sera decide di partecipare a uno speed date, luogo in cui in tre minuti si cerca di conoscere una persona dell’altro sesso. Scoperto dalla moglie (è stato convocato dai carabinieri per la misteriosa scomparsa di una delle partecipanti) viene cacciato di casa. Viene ospitato da Andrea (Rodolfo Corsato), suo collega, e dalla compagna Carlotta (Stefania Rocca), giovane venditrice immobiliare con la quale dimostra di avere un’affinità innata.
Con il passare degli anni ogni persona cambia inevitabilmente il suo modo di vedere le cose che ovviamente seguono l’esperienza e il vissuto. Se questo è vero per la vita in generale non può non essere da meno per le opere corrispondenti che si producono, che altro non sono che lo specchio delle proprie emozioni.
Carlo Verdone non è ovviamente esente da questo percorso naturale e in L’amore è eterno finchè dura (titolo splendido) conferma, dopo C’era un cinese in come e Ma che colpa abbiamo noi, il periodo di parziale disillusione che evidentemente sta attraversando. Questo film infatti, se da un lato apre lo spazio all’amore senza età e pregiudizi dall’altro chiude la porta al sogno giovanile o meglio lo trasforma in qualcosa tra la rassegnazione e l’accettazione. In quasi tutti i personaggi sembra man mano spegnersi il fuoco primordiale dell’essere innamorati per riaccendersi in qualcosa che, anche se magari ugualmente intenso, è diverso e meno magico. E’ come se il regista romano (coadiuvato nella scrittura Francesca Marciano (di nuovo) e Pasquale Plastino) abbiamo mostrato quel limbo che a volte si crea tra passionalità, amore e razionalità. Una terra di mezzo nella quale la felicità passa comunque di meno tra la poesia e dove il domani è legato a doppia mandata a un grande punto interrogativo.
Seppur finemente elaborata e ironica, ci sono alcune innegabili perle comiche, la storia a mio avviso ha un grande limite nell’ultima parte, fine esclusa e ci torneremo, dove si ha più l’impressione di allungare dei concetti già ampiamente analizzati in precedenza. Questo passaggio ha, a mio avviso, la pecca di aver “ammorbidito” l’abbrivio del film che improvvisamente è diventato meno scorrevole e consequenziale. Lo stesso rapporto tra Carlotta e Gilberto, se inizialmente intrigante, nonostante l’evidenza dello sviluppo, ha avuto un’accelerata troppo evidente con un coinvolgimento che ha attinto più dall’aspettativa iniziale (comunque era evidente l’osmosi tra i due) che a quello raffigurato. Tale piccolo inciampo, come accennato, non ha però minato il senso della fine che come detto riesce a lasciarti tra l’interdetto, per il messaggio non per l’intensità, e, soprattutto, per chi ha superato una determinata età, il tristemente accettabile. E questo nonostante una certa dose di speranza che tale conclusione ha. Tale effetto quasi sicuramente, e so che è un controsenso, ha dato maggiore lustro al film che a mio avviso, in caso di tutti felici e contenti, avrebbe perso di cuore e di realtà soprattutto perché si sarebbe smarrito lo splendido contrasto con quello successo a Marta (Lucia Ceracchi), la figlia di Gilberto e Tiziana. In lei, e qui ci rifacciamo alla premessa degli anni che passano, il senso dell’amore eterno è vivo, pulsa ovunque come qualcosa di irrinunciabile e vicino, a differenza appunto dei genitori che invece, si affidano a una sorta di compromesso sentimentale.
A livello interpretativo mi sento di promuovere l’intero cast con Verdone, a differenza di molte altre volte, più solista. I momenti di ilarità infatti sono opera solo della sua gestualità e del suo carisma fuori quindi dal contesto di scena dai quali derivano.
Carlo Verdone per l’ennesima volta, seppur con qualche limite, è riuscito a raccontare con chiarezza e leggerezza un momento della vita che può essere complicato dicendoci come una rottura possa trasformarsi in una speranza per il futuro. Quando avvengono questi scossoni sono inevitabili momenti di assestamento con una serie di effetto domino, per chi ti sta vicino, naturali e umani. Proprio la realizzazione di questo gioco ad incastro è il vero successo del film che regala messaggi in divenire in maniera tale da poter essere afferrati ed elaborati senza per questo essere presi come giudizi chiusi e senza sbocchi. La frase “perché dobbiamo far finta di essere forti”, infatti, è una sorta di ammonimento generale e si riferisce sia al passato che al presente. Una sorta di chiave per far capire che le cose potevano andare in un modo o nell’altro, al netto delle scelte ovviamente, se magari si fosse tentano di smussare qualche angolo rendendo magari il proprio comportamento più comprensibile e condivisibile. E soprattutto, se la si vuole vedere dall’altro lato, è un fatto sul quale fondare tutto quello che verrà con un’accortezza, purtroppo aggiungerei, magari un filo troppo razionale ma che non può non nascondere una grande dose di speranza. Il contrario sarebbe delittuosamente meccanico.
Jonhdoe1978
Ti è piaciuta la recensione? Seguici anche su Instagram e Facebook
Lascia un commento