Inseguimenti e diserzioni, nevrosi e psicoanalisi, amicizie e tradimenti, un padre ed una figlia quattordicenne che si ritrovano, solitudini e cattive compagnie, una serie di raggiri di vario taglio, che vanno dalla mega frode alla piccola estorsione e, almeno, tre finali a sorpresa tra doppi e tripli giochi.
Sembra la più abusata e logora delle situazioni, eppure Il genio della truffa funziona che è una meraviglia.
Tratta dal romanzo La carogna di Eric Garcia, quella che possiamo considerare una “vacanza” dalle fatiche di Black Hawk Down, è una commedia (la prima) lontana anni luce dai Kolossal a cui ci ha abituato Ridley Scott. Costruita su di una robusta sceneggiatura dal ritmo perfetto, scritta a quattro mani da Nicholas e Ted Griffin, Matchstick Men (titolo originale del film) racconta una bella storia mettendo in scena il lato comico delle paranoie e delle deviazioni delle condotte umane, riuscendo a mantenere un prezioso equilibrio tra interiorità e spettacolo, curando con sensibilità la caratterizzazione dei personaggi e schivando tutti i tranelli del cinema contemporaneo a stelle e strisce (fiacchezza, imbrattamenti e bacchettonerie), senza comunque perdere la perspicuità nel descrivere l’occulta immoralità dell’Occidente.
Il genio della truffa possiede quella leggerezza disillusa che ricorda il cinema degli anni ’70, richiamando alla mente tutte le pellicole che narrano di disfacimento famigliare e dell’arte dell’arrangiarsi, con umorismo pungente e puntuale, anche se doloroso. Sono molto ben studiate la solitudine e le fragilità del protagonista Roy Waller (Nicolas Cage), truffatore professionista a disagio nella vita quotidiana, poiché affetto da molteplici nevrosi e tic. Un film inusuale per Scott che, con l’aiuto di un unico effetto speciale (un’allucinazione), tiene viva l’attenzione dello spettatore e mette su una celebrazione alle “seconde possibilità”, condita da una forte riflessione sulla genitorialità, sullo sfondo di una moderna, depressa e mendace America.
Il genio della truffa nel suo complesso, non è né particolarmente brillante, né impegnativo. È la regia di Scott a elevarlo ad un livello superiore, garantendo eleganza e fluidità alla ritmata sceneggiatura e mettendo sul tavolo tre assi nascosti nella manica: l’ottima fotografia di John Mathienson, accogliente e florida nel tratteggiare il contrasto psicologico ed emotivo tra l’opprimente luminosità degli esterni e la morigerata penombra dell’appartamento del protagonista; le incontestabili musiche del maestro Hans Zimmer; il visionario e frammentario montaggio di Dody Horn, già abbondantemente apprezzato nel Memento di Christopher Nolan.
Il Cast è ben assortito e la prova di Cage è davvero convincente. Finalmente. Dico così perché Nicolino, quando non si butta via accettando qualunque copione per dover rimettere in piedi il patrimonio dilapidato in dinosauri e piramidi, è un ottimo attore. Tra tic, fobie, contrazioni, bizzarrie, smorfie e sospiri, ha saputo costruirsi una maschera di forte drammaticità ed intensità, che porta più volte alla commozione piuttosto che al sorriso.
La pellicola parte rilassata e si arricchisce di ritmo un po’ alla volta, elevandosi per tensione narrativa e senza mai smettere di fare da contraltare alla bravura di Cage, che sembra pienamente a suo agio sotto l’attenta direzione di Scott e l’occhio esterno di Robert Zemeckis, produttore esecutivo della pellicola.
Completano il cast Sam Rockwell ed Alison Lohman. Il primo ha la faccia e, soprattutto, la bravura giusta per risultare ingenuo, affidabile e bonaccione ed allo stesso tempo freddo pianificatore e subdolo ideatore di diabolici tranelli; la seconda è bravissima a calarsi con convinzione nei panni di una ragazzina di quattordici anni, pur avendone dieci di più.
Stai a vedere che, con la sua capacità a far brillare come “prove d’autore” pellicole che sarebbero in realtà poco più che sufficienti, alla fine dei conti è Ridley Scott (e non Roy) il vero “Genio della truffa”.
Alessandrocon2esse
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