
La stanza dei bottoni, nell’immaginario collettivo, è da sempre considerata come una specie di girone dantesco dove vale tutto e il contrario di tutto. Il posto in cui chiusa la porta, l’interesse personale ha il sopravvento su quello generale, in una sorta di disillusione ciclica e perenne.
Il gen. Jack D. Ripper (Sterling Hayden), comandante della base militare di Burpelso, trasmette l’ordine a 34 bombardieri nucleari di eseguire quanto previsto dal piano R e cioè attaccare l’Unione Sovietica come risposta a un’offensiva da lei ricevuta.
Il col. Lionel Mandrake (Peter Sellers), coadiutore del generale, casualmente sente di tale operazione e constatando che non c’è stata nessuna invasione russa va a chiedere spiegazioni allo stesso Ripper, venendone rapito.
Poco dopo al Pentagono, saputo dell’ordine, vengono informate dell’accaduto, dal gen. “Buck” Turgidson (George C. Scott) tutte le cariche più alte del governo, compreso il presidente Merkin Muffley (Peter Sellers).
Vista la gravità della situazione lo stesso presidente decide di contattare il primo ministro russo e di avvalersi dei consigli del Dottor Stranamore (Peter Sellers), ex scienziato nazista e ora direttore dello sviluppo delle armi nucleari.
Un film socio/politico deve essere sempre inizialmente valutato facendo riferimento al periodo in cui è stato pensato e creato e solo successivamente alla sua valenza in senso generale. Nel dottor Stranamore questi due elementi combaciano perfettamente rendendo l’opera una perla unica sia di coraggio, girato in piena Guerra Fredda, che di lungimiranza, i concetti espressi possono essere adattati a qualsiasi momento storico.
Stanley Kubrick sulla base del romanzo Red Alert di Peter George, cuce un film geniale che trova nel paradosso e nel surreale le basi per raccontarci una verità assoluta. Per quanto amplificato e portato all’estremo, il cuore del film riguarda l’inevitabilità della guerra, intesa come attività che ha accompagnato l’uomo sin dalla notte dei tempi e che scomparirà solo con la sua estinzione. E’ quasi naturale da parte sua/nostra cercare di sopravanzare il prossimo sia in piccola che in larga scala e questo a prescindere dalle situazioni e dalle intenzioni. Tale visone per quanto oscura, rappresenta quello è da sempre il nostro più grande limite: condannare una dittatura e le sue convinzioni per poi ricrearne subito un’altra che non si differenzia quasi mai dalla precedente per i principi di fondo. E lo si fa spesso, indicando tale situazione come unico modo per combatterla, aprendo cosi un circolo vizioso dal quale non siamo usciti e dai cui, molto probabilmente, non usciremo mai.
Kubrick è riuscito in modo splendido ha raccontarci di questi limiti culturali portandoli alla sua esasperazione massima, evidenziando l’ottusità di prospettive, il non vedere mai al di la dei propri confini visti come unico mondo possibile e per cui è possibile sacrificare qualsiasi cosa. La semplicità e la naturalezza con cui il presidente chiede al proprio nemico di abbattere i propri aerei è, per quanto concettualmente assurdo, attività ben conosciuta e tutt’altro che fantasiosa.
Aver scelto una commedia per raccontare una tematica del genere è senza dubbio il merito più grande di questo film. Tale taglio a mio avviso, ha consentito all’opera una riuscita a tutto tondo scongiurando il pericolo di una eccessiva drammaticità che avrebbe comportato un puro esercizio di stile a discapito del messaggio finale. Ovviamente questo modo grottesco e particolare di narrazione è stato possibile soprattutto grazie alla grande capacità degli attori che hanno dato forza e spessore all’idea di base.
Credo, infatti, che al semplice udire del nome “Dottor Stranamore”, sia impossibile per qualsivoglia persona non associarlo istintivamente alla faccia dello straordinario Peter Sellers. La sua, anzi, le sue (sono tre i personaggi da lui interpretati) sono di quanto più caratterizzante si possa immaginare. E’ riuscito a dare una linea decisa, indimenticabile a tutti e tre, confermando una versatilità che ha pochi precedenti nella storia del cinema. Per lui addirittura, lo stesso Kubrick, famoso per la sua pignoleria, ha ammorbidito il suo modo schematico e asfissiante di dirigere, concedendogli la possibilità di improvvisare. Basti pensare che sia il secondo indimenticabile dialogo tra il presidente Muffley e il primo ministro russo che la “ribellione pro nazista” della mano dello stesso Dottor Stranamore sono scene completamente inventate sul momento dall’attore e entrate poi, di diritto nei momenti cinematografici indimenticabili.
Accanto a lui non può non essere citato George C. Scott, autore di una prova espressiva perfetta, il suo generale Turgidson ha un impatto visivo dirompente oltre che un collante fondamentale per i vari segmenti della storia.
La guerra è un qualcosa da considerarsi eterno, un processo distruttivo senza soluzione di continuità e a cui non ci sarà mai rimedio. Ci sarà sempre da parte devi vari gruppi, un rincorrere all’armamento migliore anche fosse solo come deterrente, onde avere un potere contrattuale più forte. La denuncia è quella di non riuscire a fermarsi in tempo arrivando a innescare la bomba delle bombe, l’arma definitiva, quella a cui spesso e volentieri si fa storicamente riferimento. La sua esistenza è accettata da tutti, quasi rassegnati all’idea che un giorno possa davvero brillare nel cielo. E di fronte a questo l’idea di Kubrick è che nulla cambi, il circolo del sospetto, della mancanza di collaborazione, della supremazia a ogni costo riprenda comunque e subito nonostante la decimazione quasi totale della specie, la segregazione e l’azzeramento delle risorse terrestri.
Il concetto generale di superficialità, di leggerezza, di irresponsabilità, trova l’apice nella parte finale in quel meccanismo di appiattimento delle differenze: l’America, la Russia, la Germania diventano la stessa cosa, lo specchio di un mondo incosciente, dove l’istinto di sopravvivenza si mischia con l’egoismo innato, la soddisfazione degli istinti sessuali (peraltro concetto più volte ripreso nel film) e la banalizzazione del proprio spazio, quasi fosse un diritto divino acquisito.
La macabra danza finale delle bombe, nasconde la presa di coscienza che l’uomo può cambiare abitudini o cambiarsi di abito ma non cambierà mai l’indole delle sue scelte, che la storia ci ha insegnato essere cicliche e continue, per quanto folli e autodistruttive.
Jonhdoe1978


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