
Ognuno di noi, nell’arco della propria vita, incontra almeno una persona con cui entra istintivamente in simbiosi e alla quale affida le proprie emozioni e i propri pensieri, e questo a prescindere se quello che li lega sia amore, amicizia o la combinazione dei due.
Renzo Calabrese (Francesco Nuti) viene svegliato da un gruppo di militari che, entrati furtivamente nella sua abitazione, gli puntano mitra e pistole alla testa. Portato via, dopo qualche giorno inizia il processo che lo vede accusato di molestie e sequestro di persona nei confronti della moglie Margherita (Carole Bouquet). Dopo l’arringa dell’accusa è il turno del suo avvocato (Gastone Moschin) di esporre i fatti e per farlo decide di cominciare dall’inizio, da quando Renzo e Margherita, molti anni prima, si sono conosciuti.
Francesco Nuti ha sempre colorito i suoi film di estremismi concettuali e visivi quasi come fosse il suo modo spontaneo per riuscire a comunicare sensazioni e prospettive. Ha portato ogni situazione raccontata allo stremo, cingendola di una definizione personale quale risultato del suo modo unico di mischiare l’ironia con la malinconia.
Donne con le Gonne ripropone questa sua maniera di fare cinema con la novità assoluta di non fermarsi alla presunzione d’amore eterno ma di mostrarlo in tutta la sua interezza. Il film, infatti, a differenza di tutte le sue altre storie, copre un arco narrativo di più anni che porta i protagonisti dalla giovinezza alla vecchiaia attraverso il racconto di vari momenti. E’ come se Nuti abbia voluto chiudere un personale cerchio che lo ha portato dal raccontare una storia di sole 24 ore in Madonna che silenzio c’è stasera (suo primo film come sceneggiatore) a questa che invece ne ha coperto quasi 60 anni. Una distanza abissale tra le due produzione con in mezzo tanti step interlocutori in cui ci ha sempre fatto presumere a un abbraccio per sempre lasciandolo però, nella sua piena definizione solo alla sensibilità di ogni spettatore. Ovviamente tale momento ce lo racconta a modo suo, condendolo di quel senso terreno che tutti i problemi, gli impacci e gli alti e bassi della vita e di coppia in particolare hanno. Ci mostra, infatti, l’idillio più lucente insieme agli attimi più bui e questo attraverso varie situazioni che vanno dai limiti di compatibilità a le crisi sessuali, passando per le dinamiche lavorative e di semplice comunicazione. E’ una storia d’amore unica per quanto comune, un paradosso nella normalità e che trova il suo cuore nel momento della catena quale senso assoluto dell’indispensabilità fisica e morale. E’ un ponte sulle criticità di una coppia, dei suoi inevitabili punti di rottura rinsaldati da un amore di fondo nonostante le diversità e le opportunità.
Margherita e Renzo non possono essere più diversi sia di atteggiamento che di predisposizione alla vita e al contatto con le persone. Due parti spigolose di una stessa mela che però, nonostante tutto, riescono sempre a trovare la combinazione per unirsi e ricompattarsi. Due punti indefiniti e impazziti che si intersecano e si sovrappongano continuamente in quel gioco perverso di alternanza di chi si perde e poi ritrova sia come persona che come famiglia.
Il film purtroppo trova il suo grande limite, a mio avviso, nella gestione temporale degli eventi e in particolare nel punto in cui si chiude il processo aprendo di fatto la sua parte conclusiva.
La voce fuori campo, nel caso specifico dell’avvocato di Renzo, non basta da sola a rendere visivamente e psicologicamente accettabile un così importante salto temporale, facendo perdere il percorso emotivo e di coinvolgimento avuto sino ad allora.
E’ ovvio che quando si decide di raccontare un così lungo periodo è necessario fare delle scelte precise onde evitare un inutile allungamento dei tempi. Ma era anche lecito aspettarsi una maggiore attenzione considerando che è il momento in questione segna il punto in cui i nostri protagonisti passano dal forse ancora insieme al si ancora insieme. Ed è stato un vero peccato perché in parte, è stata sminuita la bellissima fine quale salto definitivo tra aspirazione e volontà, dall’adesso al sempre.
Francesco Nuti e Carole Bouquet sono autori di una solida interpretazione. Riescono in maniera convincente a mostrare le diverse personalità dei loro personaggi che, in lunghi tratti, risultano tangibili e perfettamente coerenti. Un gioco dei ruoli preciso sin dalle prime scene e portato avanti con coerenza e armoniosità sino all’ultimo fotogramma.
Il sole per mostrare la terra. E’ questo quello che ha sempre fatto Nuti: estremizzare i racconti per raccontarci le nostre emozioni, i nostri limiti, le nostre paure e soprattutto, il nostro bisogno incondizionato d’amore. Per farlo è sempre partito dal basso per poi arrivare in alto e ricadere giù per poi finalmente trovare una linea su cui trovare il proprio equilibrio. Per raggiungerlo però, è sempre necessario sporcarsi, fare i conti con i tristi momenti che ci capitato per ripulirli e fare in modo che diventino una nostra forza e non una scusa per essere sconfitti.
In Donne con le Gonne ci vuole dire come l’eternità non è un regalo divino ma un qualcosa che si ottiene piano piano passando dalle inevitabili difficoltà, dal fatto che dietro la durezza ci può essere un amore più forte o almeno di pari grado rispetto a chi lo esterna. E probabilmente sta li la bellezza della fine, nella diversa maniera in cui i nostri protagonisti ci dicono che si sarebbero fatti cremare insieme, uno dicendolo apertamente e l’altro negandolo con la stessa convinzione di quando tiri indietro la mano sperando che l’altro la prenda.
Jonhdoe1978
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