
La grande aspirazione dell’uomo è stata da sempre quella di controllare qualsiasi cosa ci fosse in natura, a prescindere se derivante dall’acqua, dalla terra o dall’aria. E questo in virtù sia del senso di onnipotenza che spesso lo ha pervaso che per la paura che lei, la natura, un giorno avrebbe potuto ribellarsi trovandoci impreparati.
Un’improvvisa pioggia di asteroidi si abbatte sullo Space Shuttle, piccolo satellite posto poco fuori l’orbita terrestre, uccidendo tutti gli astronauti presenti. Ben presto viene scoperto che tale fenomeno è dovuto da un gigantesco asteroide di grandezza pari al Texas, che, entro 18 giorni, arriverà sulla terra disintegrandola completamente. Gli studiosi del governo degli Stati Uniti giungono alla conclusione che la sola soluzione sia quella di andare lassù e piazzare nel cuore del corpo celeste delle cariche atomiche, al fine di dividerlo ed evitare cosi la collisione. Si decide di affidare questa missione a Harry Stamper (Bruce Willis) e alla sua squadra di esperti trivellatori petroliferi. Inizia di fatto il conto alla rovescia per tentare di salvare la terra.
Quando si tratta di film che sviluppano la loro trama su assunti scientifici l’aspettativa che questi vengano completamente rispettati è molto alta. Poi però esiste il rovescio della medaglia, inteso come la necessità narrativa di, in parte, disattenderli in favore di un maggior cuore e coinvolgimento emotivo. Ed è per questa considerazione che considero l’Armageddon di Michael Bay uno dei più bei film imperfetti che abbia mai visto.
L’assunto di base della storia è che la terra è sull’orlo dell’estinzione e questo già di per se comporta nello spettatore, anche se inconsciamente tale evento è visto lontano, un trasporto emozionale immediato, un toccare qualcosa che si sente vicino. Tale abbrivio iniziale però, come è giusto che sia, dura poco se non accompagnato da una struttura narrativa adeguata che permetta a chi lo guarda non solo di mantenere tale status ma di renderlo ancora più profondo e viscerale. Ed è proprio questo che Armageddon fa: ti aggancia emotivamente, ti ammalia, ti porta dentro una centrifuga emozionale continua e alla fine di uccide nel momento della rinascita. Già perché è innegabile che tutta la maggiore “luccicanza” del film nasce dalla fine inaspettata, che riesce a straziarti e emozionarti in maniera profonda facendo vacillare certezza e sicurezze acquisite. Quello che ti colpisce è il motivo del sacrificio estremo, legato a quel senso di amore puro al quale è impossibile non stringersi e rispecchiarsi. E’ come se quel gesto volesse, e ci riesce, a tirare fuori da ognuno di noi la parte più innocente, quella in cui trascendiamo da noi stessi strappandoci di dosso i panni sporchi dell’egoismo. La piena immedesimazione avviene, però, nel momento in cui, a mio avviso in maniera geniale, si passa dal generale al particolare: Il sacrificio finale di Henry, infatti, riguarda una determinata persona e una determinata storia e la salvezza di tutti è solo un riflesso. Si è in qualche modo rispettato l’indole dell’uomo, quella nella quale le motivazioni hanno bisogno di una definizione precisa non essendo a volte sufficiente solo un concetto globale, per quanto nobile, per non avere dubbi.
Michael Bay è fenomenale. La sua direzione frenetica è perfetta per quel senso di instabilità visiva ed emozionale che doveva trasmettere. Accompagna l’azione pura ai momenti drammatici e di commedia esilarante (di cui spesso sono protagonisti Rockhound (Steve Buscemi) e Lev Andropov  (Peter Stormare)) in maniera sempre diversa, quasi a capire l’attenzione specifica da dare all’uno e all’altra.
Il cast è di livello assoluto e senza nessun punto debole, ognuno è riuscito a trovare la sua dimensione e il giusto posto nella scacchiera della vicenda. Detto questo meritano, però, particolare menzione Steve Buscemi, Billy Bob Thornton (nei panni di Dan Truman) e soprattutto, Bruce Willis. Questi sono stati i suoi anni, tutto quello che ha toccato si è tramutato in oro e questo per quella sua assoluta capacità di rendere vicino qualsiasi personaggio.
Considero Armageddon il capostipite di un genere, la sua produzione infatti ha di fatto aperto le porte a tutta una serie di film con lo stesso sfondo di disperazione e distruzione. Nessuno però, a mio avviso, è riuscito ancora a toccare le sue vette e questo per la completezza sia di narrazione che di emozione che esso trasmette. Si è riusciti in maniera splendida, a mischiare l’avventura con l’adrenalina, le risa di gusto con la tensione e soprattutto, il pianto con la speranza. Pensata ed equilibrata anche la gestione della storia d’amore tra Grace (Live Tyler) e A.J. (Ben Affleck). Il rischio di una semplificazione o meglio, di renderla più una macchietta e quindi per natura stucchevole, era alto e avrebbe sminuito e appannato il senso generale della storia.
Insomma una sapiente gestione di tutto che ha la capacità a ogni visione, di regalare una lacrima in più e questo con tanti buoni saluti a chi ha storto il naso in nome alla perfezione stilistica e di concetto. Il gioco di andare a trovare le inesattezze scientifiche ad ogni costo lo trovo e l’ho sempre trovato pericoloso, un andare a sfigurare per forza un quadro che nel complesso è riuscito bene. Ovviamente tali inesattezze non si possono negare, ma dal mio punto di vista sono oscurate dalla potenza delle emozioni provate e quest’ultime, per me, saranno sempre il motore che mi spingerà ad apprezzare o meno non solo un film ma qualsiasi altra cosa della vita.
Jonhdoe1978
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