
Non c’è un uomo che non è attirato dallo spazio, inteso come quel grande firmamento dove è impossibile mettere una linea se non con la fantasia. Quell’infinito sciame di luci ha aperto e apre i pensieri più reconditi in quell’idea di immenso che spesso associamo alle sensazioni più forti.
Siamo sulla Terra di 4 milioni di anni fa e un gruppo di ominidi cerca con difficoltà di proteggersi e sopravvivere. All’improvviso compare un misterioso monolite nero che coincide con i primi sviluppi della specie: utilizzare oggetti per difendersi, cacciare e conservare i propri confini.
Nel 1999, il monolite ricompare, questa volta, in un cratere della base lunare Clavius. Il dottor Heywood Floyd (William Sylvester), presidente del Comitato Nazionale Americano per l’Astronautica, viene richiamato, in tutta segretezza, per verificare l’esatta valenza di tale scoperta ritenuta risalente a tre secoli prima e identificabile come prova dell’esistenza di una nuova forma di vita senziente. Durante l’esplorazione della zona circostante tutti i partecipanti vengono storditi da un forte segnale radio, che poi si scoprirà essere diretto verso Giove.
18 mesi dopo, il capitano David Bowman (Keir Dullea), il suo vice Frank Poole (Gary Lockwood) insieme a altri tre componenti addormentati per sicurezza, criogenicamente, con la supervisione del supercomputer HAL9000, in possesso di una sua Intelligenza artificiale, sono diretti per l’appunto, verso Giove.
Non credo di andare molto lontano dalle realtà sostenendo che esiste un cinema fantascientifico prima di 2001 Odissea nella Spazio e uno dopo. La frase non vuole in nessun modo essere blasfema ma va solo a identificare l’effetto dirompente che questa opera ha comportato nel modo di definire e raccontare un viaggio spaziale. Tralasciando per il momento la parte onirica della questione, su cui ovviamente torneremo, si può senza ombra di dubbio dire per prima cosa, che il film è un viaggio visivo senza precedenti, con un’accuratezza nei particolari, nei colori, nelle dinamiche degli squarci celesti cosi realistici che ancora oggi sembrano reali e attendibili.
Kubrick ha sempre detto che quello che a cui mirava era far fare allo spettatore una specie di percorso interiore e, a mio avviso, per lunghi tratti ci è riuscito e questo attraverso proprio grazie l’enorme gioco di sfumature, di spazi, di profondità e di suoni, continuamente ricercati. Il suo merito, però, a mio avviso, non si ferma qui, ma va trovato nel profondo studio e rispetto che ha avuto per il luogo che è andato a raccontare: lo spazio, appunto.
Ce lo ha fatto assaporare sino al midollo riproducendo perfettamente dinamiche e situazioni che trovano tutta la loro complessità nel fatto che non sono l’habitat naturale dell’uomo. I movimenti sono lenti, accurati, a volte timorosi cosi come il respiro cadenzato evidenziato in maniera meravigliosa in ogni scena all’’esterno. Alterna posti angusti a inquadrature aperte con angolazioni sempre nuove che giocano spesso con la struttura a cerchio dell’astronave.
La potenza visiva accompagna quello che è realmente il cuore del film, un viaggio (impossibile trovare un’altra definizione anche a costo di ripetersi) all’interno della coscienza umana, con un percorso circolare che porta dalla nascita della senzienza sino all’origine della comprensione.
Partiamo, infatti, dagli ominidi e arriviamo, attraverso quell’indimenticabile lancio dell’osso verso il cielo, all’aspirazione più grande dell’uomo, conoscere l’ignoto, oltrepassare i suoi confini. Quel momento è qualcosa di mistico, un passaggio di consegne, un contatto evolutivo, quasi un prestito di un qualcosa che però è destinato a tornare da dove è venuto.
Kubrick in questo film mette in discussione tutto, la nascita, l’intelletto, la linea evolutiva di ogni essere e soprattutto smonta la presunta supremazia dell’uomo, reso piccolo e instabile davanti agli eventi. Tutta la creazione non gira in più intorno a lui, diventando anch’egli un piccolo pezzo di un disegno più grande di cui fa solo parte. Indispensabilità messa in discussione anche dai computer, che per definizione dovrebbero essere sua diretta emanazione, in quell’eterno di dibattito sull’efficienza e affidabilità dell’Intelligenza Artificiale. Hal 9000 trova la sua coscienza superiore sviluppando il sentimento più intimo e forte dell’uomo: l’istinto di sopravvivenza. Quello che spesso annebbia la ragione, la razionalità e che ci fa agire come se non ci fosse altro. Una estremizzazione che Kubrick a mio avviso, trova nel momento in cui David lascia andare nello spazio il corpo di Frank pur non avendo la certezza al 100% che sia morto. In quel momento non ha scelta, è l’unico modo per tentare di salvarsi e decide, quindi, di voltare le spalle al dubbio. Un punto importante che mette per un istante sullo stesso piano l’uomo e la macchina come se i circuiti del primo possano svilupparsi nel medesimo modo dei ricettori del secondo.
Il tempo e lo spazio sono componenti essenziali per l’esistenza di ogni essere vivente, ne definiscono ambito, aspettative e motivazione. La loro compressione può comportare il ribaltamento di ogni riferimento conosciuto mettendo in contatto situazioni agli antipodi. Ed è questo che fa 2001 Odissea nello Spazio, una lunga ellisse sulla genesi dell’evoluzione sul suo sviluppo e sul suo ritornare alle origini con una nuova coscienza. Nel mezzo tante domande a cui il film volutamente non risponde, partendo evidentemente, dal presupposto che non tutto è comprensibile, ci sono cose che escono dalla nostra sfera di accettabilità ma questo non vuol dire che siano meno reali. Il monolite, quale simbolo di questo percorso, nasconde ogni passo del creato, la costante del tempo, una specie di torre di babele del sapere, una linea immaginaria tra l’inizio, la fine e di nuovo l’inizio. Il feticcio di una stirpe superiore in grado di plasmare e curvare lo scorrere dei secondi indirizzando scelte e comportamenti. In questo frangente, accompagnato da quel meraviglioso intervallo musicale di Così parlò Zarathustra, si sminuisce la figura di Dio sostituito da una entità non meno tangibile, essendo comunque pura energia, ma almeno, finalizzata e quindi, più comprensibile. Una comprensione appena sfiorata da David durante lo splendido viaggio tridimensionale, quale piccolo riassunto dell’infinità del sapere racchiuso dentro l’universo, in quello straordinario parallelo tra genesi, passato e futuro nel quale l’uomo non ha ancora trovato pienamente il suo posto.
Jonhdoe1978
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