Intorno agli anni ‘20 prendeva forma un genere teatrale popolare (successivamente appioppato a Napoli e ai Napoletani) noto come “Sceneggiata”, in cui si alternavano canti, recitazione e intensi monologhi drammatici. Dopo una prima fase di successo durata un paio di decenni, negli anni ‘70 questo tipo di rappresentazione trovò nuova linfa vitale grazie all’apporto di Mario Merola.
Tra il 1978 ed il 1979, il cantante/attore partenopeo aveva inanellato una serie di trionfi cinematografici (ben sette pellicole, da L’ultimo guappo a Napoli…la camorra sfida, la città risponde, passando per Il mammasantissima), tutti a metà tra il poliziottesco ed il melodramma e con una spolverata di musicarello, diretti per la quasi totalità da Alfonso Brescia. Un fortunato sodalizio che però, dopo una così prolifica produzione in un così breve termine, si avviava verso il viale della ripetitività ed andava quindi rinnovata.
Il duo decise quindi di puntare tutto sullo sfiorito genere teatrale, riuscendo a dargli quella svolta di cui necessitava, ampliando il classico intreccio sentimentale con il tradizionale triangolo “Isso, essa e…‘o malamente”, aggiungendo nuovi personaggi e situazioni comiche e rendendo le storie più elaborate e ricche di colpi di scena, una mossa che contribuì non solo a risollevare tutto il genere, ma lo rese, insieme a Merola, popolare in tutto il mondo.
E tra le tante sceneggiate realizzate dalla collaudata diade lavorativa (nel biennio 1980/1982 produrranno altre sette pellicole insieme), una delle più acclamate fu sicuramente la loro opera prima: Zappatore.
La trama segue la storia di Mario Esposito (Gerardo Amato), figlio unico di Francesco (Merola) e Maddalena (Regina Bianchi) che, grazie agli enormi sacrifici dei suoi genitori contadini, diventa avvocato. Tuttavia, una volta raggiunto il successo e intrapresa una relazione con Nancy Barker (Mara Venier), una giovane americana proveniente da una famiglia ricca, Mario inizia a vergognarsi delle sue origini e decide di allontanarsi dai suoi, nascondendo la sua umile provenienza alla fidanzata.
La sceneggiatura è dello stesso Brescia, scritta insieme al consueto coadiutore Piero Regnoli e, per la prima volta, in assenza dello storico secondo collaboratore Ciro Ippolito, reale artefice dei caratteri interpretati al cinema da Merola e, quindi, ulteriore riprova della decisione di cambiare completamente la rotta di genere tenuta fino a quel momento. Formalmente, nonostante la trasformazione concettuale, il risultato qualitativo finale non si discosta quasi per nulla dai lavori precedentemente licenziati dall’accoppiata Brescia/Merola, è però infattibile sostenere che non sia girato con maestria e, proprio per questa ragione, gli si perdonano gli scivoloni pirandelliani (Tipo Merola che arriva a New York e trova all’istante un tassista italiano che, incredibilmente, conosce anche la persona che stava cercando).
Se da una parte Zappatore potrebbe essere criticato per la sua retorica e i toni eccessivamente sentimentali, dall’altra è indiscutibile che sia un’opera iconica, perfettamente eseguita nel contesto del genere a cui appartiene e meritevole a pieni voti del titolo di “Madre di tutte le sceneggiate”.
Il suo punto di forza è sicuramente Merola che, in questa come in tutte le sue altre pellicole, non va giudicato per le sue (scarse) qualità attoriali, ma per la sua “intensità” e proprio perché Zappatore è totalmente sprovvisto di qualunque cosa si avvicini minimamente all’azione, la sua intensità ha la possibilità di diventare ancora più dominante e nodale. La sua maschera dolente, sprezzante e sudata è il fulcro di tutto il film e, non a caso, la sua entrata in scena alla “festa americana” a cui non era invitato, con tanto di monologo e canzone in lacrime di fronte ad uno sbigottito parterre, è diventata leggendaria nella storia della cinematografia italiana.
Se è vero che “’O zappatore nun s’a scord ‘a mamma” è altrettanto vero che “Nisciuno se scorda che ‘o zappatore nun s’a scord ‘a mamma”.
Alessandrocon2esse
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