Gli albori dell’horror avevano due indiscussi protagonisti: I vampiri e i lupi mannari (o licantropi). Questa longevità narrativa, dovuto molto dall’appeal che esse hanno sempre avuto su grandi e piccoli, ha portato, evidentemente, a una continua serie di film con loro in prima linea, con la conseguenza con il tempo, per evitare continue ripetizioni, di ricercare storie a limite o sporche (vedi il riuscito, almeno in gran parte, Underworld). Con questo cappello, voglio sottolineare che oggi come oggi non è facile riproporli dando un senso pieno di originalità (Il recente Nosferatu lo dimostra), almeno di non cimentarsi in un esplicito (ma non so quanto opportuno) completo remake.
Non è evidentemente la strada scelta da Leigh Whannell che, appunto, ha cercato pezzi di tradizione cercando però di ringiovanire il personaggio o per meglio dire, mostrarlo da un’altra prospettiva. Tentativo fallito miseramente.
Senza tanti giri di parole, Wolf Man è uno dei più brutti film mai realizzati sui licantropi e questo sotto ogni punto di vista: incipit, presentazione, pensiero, realizzazione e, peggio del peggio, fine. L’approccio scelto è subito confuso: una malattia, un incontro e tutto che trasla di anni senza una solida motivazione. Da qui parte una specie di rincorsa al cuore della storia, forzatamente rinviata per minuti su minuti, con scene che sulla carta avevano solo lo scopo di scatenare le nostre percezioni più che creare l’effetto thriller/visivo. La successiva trasformazione poco coinvolgente e concettualmente non curata, accompagnata da una morale scialba e buttata in faccia sin dall’inizio (non c’è un solo passaggio del film non prevedibile) sono la diretta conseguenza delle prime scelte sbagliate e l’apripista per un finale che può essere accostato a un solo termine: orribile.
Avvertendo che da qui ci saranno tracce di spoiler, la ricerca di quella linea di confine tra coscienza e istinto è stata ben lungi dall’essere trovata. L’impressione, al contrario, è stata di una scolastica e popolare scelta che avrebbe avuto di peggio solo se si fosse virata verso una miracolosa guarigione. Tralasciando quest’ultima ipotesi (non sono arrivato a disprezzarlo tanto), trovo poco comprensibile aver scelto di giocare con cosi tanta latitanza sulle caratteristiche peculiari del personaggio, puntando tutto su una morale che per quanto comune (l’amore verso moglie e figlia) diventa generale e non più specifica. In pratica, se ci fosse stato l’uomo lupo, l’uomo pesce o l’uomo coniglio non sarebbe cambiato assolutamente niente e questo, evidentemente, è un errore di concetto madornale considerando l’origine figurativa del protagonista.
Anche l’apparato visivo seppur con qualche spunto, proprio qualche, non è nulla di speciale e non ha fatto altro che aggiungere precarietà a precarietà. Giusto quel momento che vuole rappresentare la differenza di percezione della realtà tra uomo e “bestia” durante la trasformazione merita un pizzico di attenzione se non altro perché è l’unico momento in cui l’intenzione e la realizzazione si sfiorano.
Per il resto è un tutto un minimal alla ricerca dell’innovazione. Il problema è che bisogna essere molto capaci per fare una cosa del genere…
Leigh Whannell al di là della sua ossessione per Saw (di fatto è una sua creatura) ha costellato la sua carriera di regista/sceneggiatore di alti e bassi. Non gli manca di certo l’inventiva, la capacità e l’entusiasmo, ma stavolta l’impressione è che si sia specchiato sulle sue idee. Siamo lontani anni luce dall’Uomo invisibile e da quella capacità di rendere attendibile un racconto personale. In pratica, sia in Wolf Man che appunto, nell’Uomo invisibile, seppur in un contesto che sarebbe potuto tranquillamente essere rivolta a una marea di persone, la scelta è stata di focalizzarsi su un rapporto intimo lasciando di fatto fuori tutto il mondo. Nel secondo caso, il progetto è andato a termine, anche perchè lo script generale era più facile da gestire, in questo si è smarrito, invece, quasi subito. Dal mio punto di vista, l’uomo lupo è un concetto troppo grande e troppo sociale per ridurlo praticamente a un racconto familiare (di fatto questo è il film), il rischio cosi, cosa peraltro accaduto, è di non far succedere praticamente nulla per tutta la storia.
Tanta la poca riuscita del progetto che si è riusciti anche far scomparire un’attrice come Julia Garner che proprio nella presenza scenica ha la sua caratteristica principale. Tanto per rendere l’idea, sembra una di quelle attrici mediocri/sufficienti che abbiamo visto decine e decine di volte nell’enorme produzione di horror tra gli anni 80 e 90. E se ci penso è quasi blasfemia.
Sono sempre molto restio a non consigliare una visione. Quello che siamo e la nostra cultura cinematografica è la somma di tutto quello che abbiamo visto, bello e, appunto, brutto. Senza non ci sarebbe termine di paragone e quindi nessuna linea maginot tra soddisfazione e ribrezzo. Stavolta, però, mi trovo costretto a fare un’eccezione. Wolf Man è un film, purtroppo, che ha un’anima inutile e che niente aggiunge (anzi toglie) a tutto quello che proviamo e immaginiamo di fronte all’uomo lupo e ai licantropi. Sostanzialmente se pensavamo che essi erano rossi, dopo questo film continueremo a pensare la stessa cosa, senza neanche la più piccolissima variazione. E questo evidentemente, mi porta a consigliare di passare, guardare senza attenzione e andare avanti.
Jonhdoe1978
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