Walt Disney Animation Studios me la immagino, e poi di fatto lo è, come un’enorme industria alla continua ricerca di prodotti e idee nuove. Sotto quest’ultimo aspetto e come conseguenza di quanto appena detto, per la scelta ogni volta del nuovo film da inserire tra i classici, riceverà decine e decine di sceneggiature tra le quali individuare quella ritenuta migliore. Dopo Wish, che fa seguito al disastro di Strange World – Un mondo misterioso, la domanda, quindi, nasce spontanea: in questi ultimi anni hanno proposto le loro idee solo sceneggiatori mediocri o molto più semplicemente coloro messi li per la scelta sono degli incapaci? Tale affermazione nasce dalla pericolosa parabola verso il basso fatta dalla Disney da Oceania in poi, si salva solo Raya e l’ultimo drago, e che aveva già trovato il suo punto più basso, come detto, nell’ultimo Strange World. Aveva, perché a conti fatti con Wish si è fatto incredibilmente peggio.
Per puro esercizio di stile, mi sono andato a rileggere i titoli di tutti i classici, cercando di capire a che livello siamo arrivati con queste ultime due produzioni. Il risultato è stato evidente e senza possibilità di errore: siamo al punto più basso.
Entrando nello specifico, la prima cosa che non torna sono i disegni. Da subito risultano strani, scolastici, quasi approssimativi. Poi si viene a sapere che è stata una scelta e che si è cercato di riprodurre l’effetto pastello, ad esempio sugli sfondi dietro il primo piano dei protagonisti, tipico dei primi film della casa di produzione americana. Inutile dire che il risultato è disturbante e semplicemente anacronistico. La tecnologia ha dato una strada e tu produttore la hai cavalcata facendoci come spettatore abituare. Che senso ha tornare indietro senza peraltro arretrare in termini di consumo (non è che si sono rimessi a farli di nuovo a mano)? Io una spiegazione me la sono data e riguarda il più generale tentativo di tornare alle origini dopo il flop, in tutti i sensi, del film precedente (sempre Strange World). Quest’ultimo aveva cercato di cambiare obiettivo, addentrandosi in temi tanto cari al giorno d’oggi, quali l’ambiente, l’equilibrio, il rispetto del mondo, l’inclusione, etc etc. Vista la poca riuscita, si è voluto fare un passo indietro tornado al vecchio popolo e reggente, buoni e cattivi, giusto e sbagliato, animali parlanti e l’eroina/o che salva tutti. In questo percorso a ritroso si è aggiunto, appunto, anche l’aspetto visivo quasi a voler riavvicinare, oltre che la nuova generazione, anche le vecchie. Il tentativo è però fallito e non solo per appunto i disegni, per me orribili ma è soggettivo, quanto proprio per il cuore della storia.
Per prima cosa, se non l’avete visto da qui vi consiglio di fermarvi, l’incipit è frettoloso e confuso: non basta una voce fuori campo per spianare emotivamente lo spettatore a un processo narrativo, servono almeno delle immagini concrete di supporto. E se questo può rientrare nuovamente nel piano soggettivo, non può l’erronea valutazione e consistenza dei sogni nella vita. Wish ci dice che i sogni sono l’infinito della vita per poi continuare (contradicendosi) che quello più importante lo possiamo affidare a qualcuno sino quasi a dimenticarcelo. Ora, per prima cosa, come può uno smarrire il suo più grande desiderio? A prescindere se poi si realizzerà o no, esso è uno dei motori di tutta la nostra esistenza, senza saremmo degli automi. Non diversi, robot proprio. Se questo non bastasse, si è aggiunta la stella dei desideri, arrivata da chissà dove e senza un perché convincente, e un finale a colpi di magia, ecco che si è cercato l’usato sicuro, che invece di esaltare ancora di più l’effetto e l’importanza del sogno ne delimita e circoscrive l’efficacia ancora di più.
Se si è messo in discussione Kevin Feige per i continui flop della Marvel, gli ultimi prodotti sono oggettivamente inguardabili, non vedo perché anche la direzione della Walt Disney Animation Studios non debba essere oggetto di pesante critica. Anzi, mentre l’uomo di Boston ha comunque contribuito al successo stratosferico della casa di produzione americana, creandosi di fatto un credito enorme, coloro che ora sono a capo della fabbrica dei sogni stanno collezionando insuccessi su insuccessi, senza quindi uno storico sul quale appoggiarsi. E non è neanche un discorso sul ruolo dell’animazione, prendiamo ad esempio il meraviglioso Nimona dei Netflix o il riuscito Leo sempre di Netflix e, se vogliamo allargare, l’enorme successo (un pochino esagerato) de Il ragazzo e l’airone. Il problema è dei contenuti e dell’assenza completa di trovare uno script accattivante e che apra il cuore agli spettatori.
Dopo l’incantevole quadrilatero Big Hero 6 – Frozen – Zootropolis – Oceania (questo è il mio ordine ma il livello è comunque altissimo), salvando come detto Raya, il resto (dei remake live action non voglio neanche parlare) è stato deludente prima e un disastro poi. Quel che sorprende in Wish è la completa incapacità di creare un minimo di empatia e/o relazione emotiva con lo spettatore e questo perché nessuno può rispecchiarsi in questa storia. Il nostro modo, come uomini, di vedere il sogno e la salvezza è totalmente differente e non si capisce il perché di invertire questi fattori. Quella fiammella infinità che è la speranza dell’immaginazione e il continuo credere che un disegno astratto diventi concreto rappresenta tutto quello che siamo, raccontarci che possiamo farne a meno sino quasi a dimenticarcene è una stortura immensa. Come lo è il fatto di potercela restituire, sempre la speranza dell’immaginazione, dopo anni senza una qualche brutta ripercussione: è come svegliarsi da un coma dopo 30 anni, non credo nessuna possa sorridere.
Jonhdoe1978
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