Se una persona al giorno d’oggi si dovesse fermare e pensare agli anni ’60, il primo pensiero sarebbe di un periodo lontanissimo e completamente distante dal suo mondo. Poi però, esiste l’arte, la musica, il cinema e quella distanza si assottiglia quasi a scomparire, come fosse una magia.
Siamo nel 1968, esattamente nella prigione di Folson, Jonnhy Cash (Joaquin Phoenix) è assorto a guardare e giocare con una sega elettrica. Il suo sguardo si perde nel vuoto, rivede tutta la sua vita.
Walk the Line non è altro che il racconto della straordinaria storia d’amore tra Jonnhy Cash e June Carter (Reese Witherspoon) attraverso i resoconti dell’esistenza dello stesso Cash.
Il primo grande merito di James Mangold è stata la splendida gestione dei tempi narrativi. La vita di J.R. (vero nome di Cash), infatti, è stata complessa e piena di avvenimenti, più o meno felici, e riuscire a trovare un equilibrio raccontandoli tutti, senza perdere di vista l’obiettivo principale, non era assolutamente facile.
La primissima parte del film ci parla del Cash prima della musica, dalla sua adolescenza, sconvolta della morte del fratello Jack a cui era molto legato, sino all’arruolarsi nell’aviazione, passando per gli scontri con il padre e la conoscenza con Vivian, che sposerà al suo rientro.
Da qui, in corrispondenza del primo tour, dove incontra per la prima volta June, parte un altro film, e la semplice narrazione lascia spazio al racconto dell’anima, sia nella sua concezione più scura che in quella più splendente.
La loro sarà una storia burrascosa, fatta per molti anni solo di sguardi, di attese, di piccoli gesti e di parole non dette o dette male. Entrambi sposati e con figli, si barcamenano tra quello che è giusto e quello che gli si presenta, condito da una dose di immaginazione spesso distrutta dalle dipendenze di Cash. Per molti tempo viaggeranno insieme, concerto dopo concerto, specchiandosi l’un l’altro senza trovare mai però l’immagine corretta, seppur in cuor loro sia evidente la loro unione, oltre le apparenze, e nettamente in contrasto con l’ambiente che li circondava.
Dipendenze dicevamo. Cash ha passato molti anni sotto l’effetto di Barbiturici, Anfetamine e Alcool, che lo ha portato a perdere quasi tutto, carriera compresa. Ma nel suo punto più basso, nel momento in cui il corpo si distruggeva fra quello che era e quello che stava ritornando, ogni volta che apriva gli occhi trovava lo sguardo di June, la maniglia a cui si è aggrappato per scongiurare l’inferno. Credo che questo sia il punto più alto del film, o meglio il sunto di tutto quello che avevamo visto sino a quel momento, la redenzione che solo un amore del genere può dare.
Walk the Line è scritto bene, è studiato bene e soprattutto è interpretato bene. Ma mentre per quanto riguarda Joaquin Phoenix era da aspettarselo, una grande sorpresa è stata Reese Witherspoon, attrice che ho sempre trovato anonima e a volte impacciata. In questo film, invece, è assolutamente credibile sia come spalla che soprattutto, come protagonista, reggendo in maniera convincente la presenza scenica ingombrante di Phoenix, senza mai correre il rischio di esserne schiacciata.
Sempre nel contesto attori, entusiasmante il racconto dell’incontro e della frequentazione di Cash con Jerry Lee Lewis e Elvis (peccato la completa non somiglianza con l’originale) in quel coast to coast tipico di quegli anni, che rendeva i rapporti veri e profondi. Erano delle Star, ma lo erano differentemente rispetto ad oggi, il pubblico era il loro contatto con l’arte, non se ne privavano mai, e questo a prescindere dal luogo. Questo passaggio è stato rappresentato benissimo da James Mangold, che ci ha fatto respirare l’aria del periodo, il modo di fare musica e di raccontarla. Emblematico è stato il concerto fatto da JR a Felson (nel momento in cui il ricordo con cui inizia il film si sovrappone al momento) soprattutto per il motivo che l’ha spinto a farlo, una sorta di ribellione interiore, un modo per ripartire dalla base e riprovare a riprendere il volo interrotto tempo prima.
La vita di Jonnhy Cash era perfetta per essere rappresentata cinematograficamente, molto meno lo scegliere il taglio con cui raccontarla. Si è scelto quello più intimo, quello più vero, con una sceneggiatura (di cui lo stesso Mangold è co-autore) curata e molto di pancia. L’idea è stata quella di vedere la sua vita come un gigantesco passaggio intorno a June, come se tutto quello che gli è accaduto fosse solo un piccolo elemento in più che lo portassero da Lei. Non era facile rendere questa idea, che poi non è altro che quello che è realmente accaduto.
Nelle ultimissime battute del film Lui le chiederà per l’ennesima volta, di sposarlo e stavolta lo farà nel modo più roboante, nel loro habitat naturale, durante un concerto. Dirà di si, ovviamente.
Il film poi si chiude, con una semplice informazione: Jonnhy Cash e June Carter da quel momento, passarono tutta la vita insieme, dividendo palco e intimità, sino a quando Lei nel maggio del 2003 mori. Soltanto quattro mesi dopo Cash la raggiunse, ufficialmente per delle complicazioni diabetiche, motivo a cui, credo, abbiano creduto veramente in pochi.
Jonhdoe1978
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