Ogni tot di tempo e di visioni ho bisogno di un film/serie anime. Non c’è una logica in questa periodica esigenza, ma solo la voglia istintiva di essere immerso da un linguaggio che nonostante passino gli anni continuo a trovare completo e, a differenza di quello che si possa credere, meravigliosamente efficace. I cartoni animati, a mio giudizio, hanno solo una cosa di diverso rispetto a qualsiasi altra produzione: la libertà di esagerare. Certo, è evidentemente un’arma a doppio taglio, ma se la si sa usare il risultato è emotivamente bellissimo.
Che cos’è l’amore? Dove si trova l’amore? Come si trova l’amore? Chiunque dia una risposta convinto che sia assoluta o mente o probabilmente non ne ha capito il vero significato. Questo, infatti, è il classico ambito, come tutti quelli che riguardano i sentimenti, in cui l’oggettività deve sparire per lasciare spazio alle personalissime, uniche e singole sensazioni. Violet Evergarden, serie anime diretta Taichi Ishidate sulla base delle light novel di Kana Akatsuki e Akiko Takase, vuole entrare in questo faticoso tema e lo fa, nonostante una direzione ben precisa, quella della protagonista, in tanti modi diversi, riuscendo senza difficoltà a far trovare allo spettatore il suo livello emotivo sull’argomento.
La serie parte da una sottrazione estrema (Violet è un’arma da guerra che non sa cosa siano i sentimenti, intorno a lei solo odio e distruzione), per poi andare verso aperture continue disseminando il percorso di petali di speranza e possibilità. La storia di Violet si intreccia a tante altre permettendo cosi alla serie di mostrare diversi livelli di amore e questo dall’alto di una considerazione generale indiscutibile: la percezione dell’amore, è necessario ripetermi, e del suo significato è figlio sia della personale indole che da quello che gli altri riescono a donarci. La protagonista è come un guscio emotivo vuoto, ma l’incontro con una persona, che poi diventerà lo specchio della sua unicità, gli crea una piccola crepa aprendo di fatto la sua vita verso una direzione fin li neanche immaginata. Il suo lavoro successivo, scelto proprio per capire cosa significhi ti amo, di bambola di scrittura automatica, la mette in contatto con tante persone che alla fine le accarezzano quella crepa riempendo piano piano quel vuoto di fragilità, forza e altruismo, i veri semi dei sentimenti. Perché è vero che il modo con il quale si vivono le emozioni, come detto, è personale, ma è anche indiscutibile che la vera cartina di tornasole della loro comparsa sta quando la felicità di un’altra persona diventa quasi più importante della nostra e questo senza che sia un peso.
La bellezza di questa produzione è proprio nella costruzione di questa situazione, ci mostra il vagito dell’amore inconscio per poi arrivare all’esplosione di quello consapevole. Tale condizione è esaltata ancora di più dal senso di mancanza, sottolineando quindi la considerazione che l’amore è un qualcosa di visceralmente astratto ma che poi si concretizza in qualcosa di reale. L’idea avvolge e trasporta più di qualsiasi altra cosa e i momenti vissuti diventano i capisaldi per ogni paragone e/o reazione.
Oltre questo, Violet Evergarden, si addentra, ovviamente non in maniera altrettanto profonda, sul senso dell’amicizia e sull’importanza, ormai persa, delle parole e delle comunicazioni. Se il primo diventa in qualche modo la diretta conseguenza del tema principale, il secondo è molto più sottile, nonostante con le puntate diventi quasi la firma della produzione. Mi spiego. I sentimenti alla fine partono da una condizione essenziale: la condivisione. La figura del maggiore Gilbert Bougainvillea, nonostante la reticenza di Violet, è pressante e tutti sanno chi è e cosa rappresenta per lei. Lo scrivere una lettera, a maggior ragione se fatto da un’altra persona, diventa il simbolo di tale condivisione, quasi che i sentimenti abbiamo molto spesso la necessità di essere capiti al di la del protagonista. Questo, che all’inizio sembra un controsenso, piano piano diventa comprensibile perché rispecchia quanto detto all’inizio sulla soggettività: c’è chi abbraccia le proprie sensazioni parlandone e chi le nutre nel silenzio e nel ricordo. Nessuna delle due è sbagliata e nessuna delle due è giusta, entrambe però, sono vere.
Altro tema e forse più importante, seppur conseguenza della comprensione del proprio cuore e della propria anima, è la possibilità di cambiare. Violet parte da una condizione per poi ritrovarsi in un’altra che sa di opposto. Sa, ma non è, perché alla fine ci si ritrova attraverso un percorso interiore e non come punto e a capo e questo fa tutta la differenza del mondo.
I disegni sono spesso esagerati, ma proprio la loro esagerazione, a mio avviso, è il motivo del loro successo. Sono evidentemente quelli che preferisco e che mi permettono di oltrepassare il fatto di star vedendo un cartone, identificandolo come una storia assolutamente vicina e viscerale. Anzi credo che gli anime possano riuscire dove normalmente non si potrebbe, a patto di esserne in grado, gestendoli e armonizzandoli. La scena del ponte, ad esempio, in live action sarebbe stata un disastro e tutto il significato generale sarebbe stato sminuito, facendo calare quel processo di addizione emozionale a cui la serie mirava. Geniale l’ultimo fotogramma, non sapremmo mai cosa e chi ha visto Violet, ma di certo è qualcosa di bello e inaspettato, esattamente come succede a volte nella vita reale.
Jonhdoe1978
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