Avete presente il detto: era meglio un pugno nello stomaco? Come tutti sappiamo si tratta di una metafora con la quale si evidenzia un accadimento molto duro da accettare, ma se di solito esso è un evidente estremismo dialettico, in altri è la pura e semplice verità.
Inutile girarci intorno, Una tomba per le lucciole, della genesi e della produzione parleremo a breve, è una di quelle storie che una volta viste non si dimenticano più e che ti lasciano, a ogni pensiero, un senso di sconfitta (con il tempo non passerà) come poche altre.
Ogni minimo punto di riferimento, in questo film, infatti, piano piano si sgretola e l’unica cosa che possiamo fare noi come spettatori, è cercare un angolo della nostra anima dove cercare di proteggerci. Il motivo, dal mio punto di vista, risiede nel fatto che l’ondata emotiva con la quale si viene travolti da questo film è molto più complessa e va molto oltre la follia e l’effetto distruttivo della guerra. Si certo, quella è la molla che ha scatenato l’effetto domino, ma poi quello che emerge è l’egoismo, il cinismo e la superficialità che l’uomo nelle condizioni estreme ha da sempre. In pratica, chi era altruista lo diventa ancora di più e chi era marcio, la maggior parte, diventa completamente guasto. Proprio in questo complesso limbo si incastra la storia di Seita e Setsuko tra disperazione, rabbia, inevitabilità e immortalità.
Partiamo da quest’ultima, che è l’unica parte che riesce a dare un po’ di sollievo e speranza.
Ogni popolo ha in qualche modo la doppia convinzione sia che l’istante prima della morte sia pressocchè infinito che, in certi casi, si abbia il privilegio attraverso una coscienza viva, di proseguire la propria esistenza in forma eterea. Una tomba per le lucciole, in qualche modo, affronta questa delicata convinzione contornandola, come è giusto che sia, della cruenza della vita terrena, dando cosi alla trama un triplice percorso. Abbiamo quindi, la vita, la morte e di nuovo la vita, nessuna ben distinta, ma tutte facenti parte di un qualcosa tra l’incomprensibile e il razionale. E’ ovvio che l’evoluzione immortale voglia in qualche modo dare ossigeno alla trama, ma di certo non lima quel senso soffocante costante che si avverte sin dal primissimo secondo. Certo, l’immagine finale vuole in qualche modo essere l’abbraccio di qualcosa di buono, della certezza che oltre la carnalità e la sofferenza ci sia un posto dove ritrovarsi con chi si è voluto bene, ricominciando e continuando. Questo però non esclude la rabbia che da subito si avverte e che con i minuti si mischia all’impotenza e a quella triste sensazione che l’inevitabilità ha.
Sembrerà il destino, ma anche la storia della diffusione di questo film è alquanto complicata e quasi fa il paio con la sua l’essenza. Prodotto dallo Studio Ghibli, il soggetto è opera proprio del co-fodantore insieme a Hayao Miyazaki di questa etichetta, per gli argomenti trattati non venne accettato dalla Disney, evitando cosi al film di superare subito i confini nazionali. Nonostante un grande successo in Giappone, solo nel 1995 (pensiamo che è del 1988!), arrivò in Italia con una divulgazione, però, molto limitata. Ci ha pensato anni dopo, nel 2015, Yamato Video, modificando anche il titolo in La tomba delle lucciole e ridoppiandolo, a portarlo al grande pubblico sia attraverso le pubblicazioni in DVD e Blu Ray che proiettandolo in alcune sale cinematografiche. Inutile dire che fu un grandissimo successo.
Ora sembra tutto più facile, ma nel 1988 gli anime potevano essere fatti in un solo modo: a mano. Non c’era tecnologia di supporto, programmi di aggiustamento o software che potessero in qualche modo aiutare, solo la capacità di sfruttare la stessa tavola per momenti più o meno simili (pensiamo alla Disney e a quelle usate in film diversi) poteva in qualche modo sgravare il lavoro. Dal mio punto di vista, però, tale considerazione non è da sola sufficiente (nel senso anche quelli fatti al computer possono essere bellissimi) per dare corpo a una storia, serve di più. Serve quella capacità di cogliere l’attimo, di portare lo spettatore nelle pieghe fisiche e morali dei protagonisti e soprattutto, servono i colori giusti al momento giusto. In questo, l’alternanza del rosso a quelli canonici, è meraviglioso. Da la perfetta idea di quel limbo nel quale ricordo e amore infinito si incontrano per cercare di non di non dimenticare e di non lasciarsi più.
A rendere ancora più struggente la vicenda, il fatto che il soggetto sia tratto da una storia reale. Akiyuki Nosaka ha perso veramente una sorella di mal nutrizione durante la guerra e ha deciso, forse per esorcizzarla, di scriverne. Certo, poi il talento di Isao Takahata è stato quello di riportarlo nella sua pienezza, aggiungendo alcuni elementi che hanno reso la storia quel meraviglioso tormento che indubbiamente è.
Ognuno davanti a certi racconti reagisce per quello che è. Chi in maniera morbida, chi controllandosi e chi lasciandosi travolgere. Nessuna è giusta e nessuna è sbagliata, è solo inconscia indole. Alcuni, però, escono da questo schema rientrando in quella categoria da pugno allo stomaco reale di cui si diceva all’inizio. Ed e’ oggettivamente impossibile non provare un qualche dolore fisico davanti a questo film cosi come è altrettanto impossibile eliminare dalla memoria alcune scene. E stavolta non c’è nessuna allergia agli anime che regga e solo una completa povertà d’animo potrebbe non scalfire davanti a questa visione.
Teniamoci, però, quell’immagine di eternità finale, nel quale ogni oscurità sparisce, sostituita da quella soffice speranza che sia possibile un giorno riscattare l’amaro con il dolce senza scadenza e per una lucciola evitare di spegnersi troppo presto, per illuminare per sempre.
Jonhdoe1978
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