La variazione su un tema non è altro che un modo alternativo di trattare o approcciarsi a un determinato argomento. Ne va da sé che non esiste un principio minimante universale per inquadrarlo essendo di fatto un’impostazione soggettiva di fronte a un qualcosa, emozione o evento che sia.
In Tredici variazione sul tema, titolo che ripercorre i mini capitoli in cui è diviso il film, il cardine sul quale si snoda la storia, e di conseguenza le sue variabili, è la ricerca della felicità, o meglio, la percezione che ognuno ha di essa e la maniera con la quale trovarla. Jill Sprecher, regista e sceneggiatrice che con questa opera tocca il suo apice, ed è un peccato che si sia concessa cosi poco a livello cinematografico, ad oggi tre soli film, affronta l’argomento partendo da un principio ben definito: la vita è imprevedibile e il destino/caso in molti casi è incontrollabile e irruento. La linea di convivenza sociale, che poi è la misura per il quale stiamo o non stiamo bene, nelle quattro storie è segnata da un evento traumatico fortuito che in qualche modo rimette in discussione ognuna delle loro esistenze. Da questi, gli eventi, partono tutta una serie di conseguenze che molto hanno a che fare con la propria inclinazione e il proprio vissuto. Il peso del passato nelle scelte future è un concetto che nel film è pressante e segue quel principio secondo il quale il nostro dna tende a rinnovarsi continuamente di fronte a nuove esperienze. Tanto per fare un esempio, l’incidente che provoca Troy, anche se il film non ci spiega benissimo le dinamiche, segna nell’uomo una frattura tanto forte da estirpargli tutto quello che è facendolo in qualche modo diventare una persona completamente diversa. In altri casi, invece, vedi in Walker, l’accadimento metto in risalto un’insoddisfazione latente che dopo di esso si ha la forza di affrontare.
Come si è capito, quindi, Tredici variazioni sul tema, non guarda il “problema” da una solo prospettiva, ma da una gamma molto ampia di punti di vista con il risultato di riuscire a coinvolgere attraverso il meccanismo di immedesimazione quasi tutti gli spettatori. C’è il disilluso, il sognatore, il positivo, chi si arrangia, l’autodistruttore, chi crede nell’amore, chi si sente in colpa, il cinico, l’amico, il confessore, l’amante e l’altruista. E tutti, e qui sta la grande riuscita del film, al di la delle proprie inclinazioni morali, creano un’empatia profonda con chi li osserva elevando il processo mentale di empatia con la storia a livelli molto alti. In certi momenti, si ha l’impressione di essere cullati in una sorta di metaverso nel quale possibilità e considerazioni dei protagonisti (al di la delle situazioni specifiche) si fondano con le proprie in una specie di sovrapposizione possibilista sul senso generale della vita e appunto, della felicità. Questo, evidentemente, mostra la grande saggezza con la quale la trama è stata costruita e la delicatezza di non risultare troppo invadente, l’argomento è comunque intimo, pur dando il proprio punto di vista.
Per come impostato tutto il film ho trovato meraviglioso lasciare in leggero sospeso tutte le dinamiche seppur accompagnate da un concetto tanto universale quanto indispensabile per ogni vita: la seconda possibilità. Non c’è, appunto, possibilità di felicità o di espiazione, tranne in rari casi, senza che ci venga data l’occasione di addrizzare il tiro e questo al di là dei rimorsi e dei rimpianti. Come uomini ne abbiamo bisogno e ne abbiamo diritto anche se poi dovessimo sprecarla. Tutto questo in Tredici variazioni sul tema non viene sventolato o marcato in maniera quasi pacchiana, ma lasciato nell’aria quel tanto che basta per essere percepito cosi poi da lasciare alla sensibilità di ognuno la propria elaborazione. Personalmente ci ho visto un percorso intimo nella ricerca della felicità attraverso l’infelicità, quasi che la prima non abbia granchè senso senza aver assaporato la seconda. Si sente il peso delle scelte senza però che diventino asfissianti, sarebbe stato un controsenso con la voglia di dare speranza a cui la storia comunque mirava.
Il livello recitativo è altissimo e ha il suo punto di diamante nel meraviglioso Alan Arkin. Non me ne vogliano i vari Matthew McConaughey (si stava affacciando al cinema impegnato), John Turturro, Clea DuVall e Amy Irving, ma Arkin è di una intensità paurosa. In lui si racchiudono tutti i principi del film fatti si solitudine, nostalgia, dubbio, amore e speranza e tutti con una capacità comunicativa fuori dal comune.
La vita non è quasi mai come ce l’aspettiamo e molte delle cose che ci capitano, al di la della nostra voglia di ottenerle, sono dovute al caso. E per caso non si deve per forza pensare a eventi catastrofici, ma anche piccole cose. Pensiamo all’impatto che un lieve ritardo magari dovuto dalla dimenticanza di una cosa, può avere su di noi. Detto questo, la nostra anima è complessa e in continua evoluzione e tende ad assecondare le nostre emozioni cercando sempre un modo per guardare al futuro (una delle ultime frasi del film di questo ci parla) senza però cancellare il passato. Tutto questo il film ce lo dice con grazia e bellezza lasciandoti un velo onirico di riflessione avvolgente e delicato e questo oltre quella che è la nostra reale vita. E quando questo avviene, l’immistione sentimentale tra quello che sei tu e la storia che stai vedendo, vuol dire che il progetto ha centrato il suo centro.
Jonhdoe1978
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