Spessissimo, la traduzione italiana dei titoli dei film stranieri può risultare “imprecisa” (voglio essere buono) nel tentativo di cogliere tutte le sfumature delle espressioni esotiche. Più raramente, invece, si ricorre ad una rischiosa alternativa che ha l’intento di spiegare il significato dell’opera, aggiungendo un’integrazione in italiano al titolo.
Di questa seconda famiglia fa parte The Holdovers – Lezioni di vita, pellicola del 2023 diretta da Alexander Payne ed in corsa con ben 5 categorie ai prossimi Oscar 2024, poiché, oltre alla spiegazione un po’ retorica e didascalica posta dopo il trattino, la distribuzione italiana ha avuto almeno il buonsenso di mantenere il titolo originale del film, conservando in questo modo tutte le sue nuance di significato e offrendo al pubblico la possibilità di interpretare l’opera in modi diversi.
Gli “Holdovers” sono principalmente rappresentati come “avanzi” di un’epoca passata, una definizione che si sposa a pennello sia a Paul Hunham, l’impopolare professore di storia classica fuori dal tempo, interpretato da un eccezionale e FINALMENTE protagonista Paul Giamatti, sia al tono nostalgico e citazionista dell’opera nel suo complesso.
Ambientato nel dicembre del 1970, il recentissimo lavoro del regista originario del Nebraska riflette un’estetica cinematografica tipica di quel periodo, con una fotografia desaturata che ricorda il passato, l’uso frequente di dissolvenze incrociate per enfatizzare l’immobilità delle giornate e un effetto “logoro”. Ogni scelta tecnica fa perfettamente pendant con la vicenda agrodolce sceneggiata dal debuttante (per il cinema) David Hemingson: il solitario Hunman si ritrova a dover trascorrere le feste natalizie nel campus dove insegna, insieme con la capocuoca Mary Lamb (Da’Vine Joy Randolph) che ha da poco perso il figlio in guerra e al suo problematico alunno Angus Tully (Dominic Sessa), abbandonato dalla madre assente e dal patrigno, tutti costretti dal fatto di non aver nessun altro posto dove stare.
Da una premessa che più classica non si può, lo specialista in sentimentalismo tira fuori dal cilindro l’opera più sincera della sua filmografia, con dialoghi intelligenti, interpreti impeccabili e una miscela di toni che non era scontato restasse in piedi. Così come vale per il letame, dalla convivenza obbligata di tre “secondari” possono nascere fiori.
Con The Holdovers Payne tenta di allontanarsi dal presente, navigando in acque che scorrono tra Breakfast Club di John Hughes e L’attimo fuggente di Peter Weir, ma abbracciando il ricorrente tema del “Loser”. L’ambientazione nell’alta borghesia americana è infatti solo un contesto, poiché il regista esplora le vite di personaggi appartenenti ad altre classi sociali, con l’unica eccezione del co-protagonista Tully che, preso con la dovuta cautela, può considerarsi come un antesignano Benjamin “Ben” Braddock, anticipando le inquietudini esistenziali da lui vissute ne Il laureato di Mike Nichols.
Ma se non vogliamo scomodare antipatici paragoni con capolavori del passato e restare all’interno del repertorio Payniano, The Holdovers potrebbe tranquillamente essere un prequel di Sideways – In viaggio con Jack (non perché condividono Giamatti come protagonista e l’integrazione nel titolo), o il sequel di Nebraska.
Per tutti i 133’ della durata del film, Payne riesce a non enfatizzare mai il “senso” della sua pellicola, dominando il climax e padroneggiando la sceneggiatura di Hemmingson, la cui vera forza risiede nella sua abilità nel rivelare gradualmente le persone dietro le maschere e le corazze che hanno costruito nel corso del tempo. A differenza di molti film, qui non c’è un momento epocale o catartico in cui si svela l’umanità dei personaggi. Al contrario, il pubblico è incoraggiato a vivere in prima persona la rivelazione intima e dolorosa della disperazione silente e del dolore quotidiano. La verità dei personaggi emerge attraverso i loro pregi e le loro mancanze, creando un quadro sfaccettato di figure in chiaroscuro con cui è inevitabile condividere i sentimenti, che siano essi nobili o meno nobili.
Ogni singola inquadratura è limpida, netta e senza inutili sottolineature: facilmente leggibile e distinguibile attraverso le più basilari emozioni.
The Holdovers è un film conciso, essenziale e mai melenso, tre motivi più che validi che l’hanno già portato a vincere due Golden Globe: uno per il Migliore Attore Protagonista di Commedia o Musical a Giamatti e uno per la Migliore Attrice Non Protagonista alla Randolph e a cui, auspicabilmente, mi auguro se ne aggiungano altri, per il modo in cui riesce ad emozionare e, personalmente, per il modo in cui legge il periodo delle feste natalizie, non sempre e non per tutti un momento di gioia e aggregazione, bensì uno dei periodi dell’anno in cui ci si sente più soli o, nei casi peggiori, abbandonati a sé stessi.
Ma The Holdovers – Lezioni di vita è una pellicola che offre anche frequenti momenti di ilarità, ma ognuno di essi sembra fungere da cortina fumogena per occultare la miseria e per allontanare il dolore della vita…anche solo per un altro giorno. Poiché, alla fine di tutto, i personaggi più afflitti (come Hunham, Tully e Lamb) non hanno altra scelta, se non quella di affrontare la loro esistenza giorno dopo giorno.
E sarà per il periodo storico che sta affrontando chi vi scrive in questo momento, ma il film di Payne è riuscito a toccarmi oltre le aspettative e, senza vergogna, ammetto di aver versato anche qualche inattesa lacrimuccia…ma ovviamente questa cosa deve restare “Entre nous”. Un piccolo segreto tra il sottoscritto e chi è arrivato a leggere fino a questo punto.
Alessandrocon2esse
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