Il mondo dell’animazione è pieno di opportunità, ma anche di curve pericolose, anche di più dei film “normali”. La possibilità, infatti, di poter “inventare” è un’arma a doppio taglio che molti non riescono a gestire con capacità, precipitando spesso in un confuso e distante improbabile e/o impossibile. Proprio questa caratteristica, come già accennato in altre recensioni, ha fatto in molti casi storcere il naso a milioni di spettatori, convinti che proprio questa possibilità sia il limite di questo genere accanto alla sensazione di “fuori umano” che si porta dietro. La verità, invece, è che questo “oltre” può portare a messaggi e implicazioni morali e sognatrici altrimenti irraggiungibili, a patto, ovviamente di non perdere mai il filo dell’anima, appunto, umana.
Tutto questo preambolo, oltre per ribadire un concetto a me caro, che poi è il motivo per cui amo questo genere di film, è perché esso è il pensiero che più di una volta mi ha invaso vedendo, appunto, Suzume. Sin da subito, infatti, ho avuto l’impressione che Makoto Shinkai, regista e creatore, volesse spingere sull’accelleratore andando cosi a toccare situazioni un pochino più all’estremo rispetto a quello a cui ci aveva abituati. Parliamoci chiaro, di Hayao Miyazaki ce n’è uno e quando qualcuno, è una vita che si dice ecco l’erede, si addentra nel mondo tra il fantastico e il reale/sogno la mente là va e con essa tutti gli inevitabili paragoni. Sin dalle prime immagini, la comparsa del gatto Daijin era abbastanza eloquente, questa vicinanza tra i due autori è sembrata tangibile e da qui i miei timori che il treno con il passare dei minuti potesse uscire dai binari dell’emotivamente accettabile. E, invece, il viaggio ha retto sempre e comunque nonostante qualche pericoloso sbandamento, confermando che probabilmente Shinkai, ovviamente con le sue caratteristiche, sia il vero successore dell’inevitabile dopo Miyazaki.
Per amore di me stesso e per chiarezza intellettuale (ed emotiva), devo dire subito che nonostante qui ci sia un racconto più strutturato e evocativamente più complesso, non ritengo che si sia riusciti a toccare le vette di Your Name. Credo che il motivo sia più per una predisposizione soggettiva sull’argomento essendo, come d’altronde per ogni opera del Maestro, questa storia maggiormente omnicomprensiva. Mentre infatti, in Your Name, nonostante il senso della precarietà, della perdita e della vita/morte sia presente, il protagonista è l’amore e il suo modo di sfalsare il tempo e le conseguenze di esso, qui il discorso si allarga e oltre a quel sentimento ne escono e ne germogliano molti altri, diventando uno specchio quindi maggiore dell’andare dell’uomo. Accanto all’amore nel senso stretto, ci torneremo comunque, infatti, c’è quello tra figlio e genitore, tra parentela e responsabilità, tra rispetto e sacrificio e soprattutto, il coraggio di dare un colore alle pagine nere dell’esistenza. Certo, la cometa e il terremoto sono la faccia della stessa medaglia, ma il modo di ritrovarsi è stato evidentemente diverso e lo è, in maniera assoluta, anche il viaggio e quello che vuole rappresentare.
Tralasciando la simbologia giapponese sui guardiani (Shinkai l’ha spiegata in ogni particolare), quello che salta all’occhio è la dubbia moralità degli stessi, come se il messaggio fosse che chi deve proteggerci non lo faccia troppo seriamente. Dal mio punto di vista, ho percepito, trovandomi d’accordo, una accondiscendenza al destino e di come sia possibile solo mettere le toppe, o come nel caso specifico chiedere le porte, ai demoni della propria vita. Questo processo, e Suzume ce lo dice con convinzione, avviene però, attraverso un passaggio fondamentale: l’accettazione. Il “bisogna vivere” che il film continua a comunicarci, molto simile al messaggio de La principessa Mononoke, è proprio la conseguenza di esso e, per certi versi, la soluzione definitiva. Una volta raggiunto questo livello, infatti, la vita si riassesta e tutto può, o meglio potrebbe, ricominciare. Il finale a sorpresa durante i titoli di coda a questo mira e vuole essere l’evidenziatore di come dall’eccezione, come tutta la storia, si può arrivare alla normalità, quella che conosciamo, senza perdere ne di intensità ne di trasporto. In pratica, l’amore con la A maiuscola è sempre l’amore, a prescindere dalle condizioni e dagli eventi.
Se questo è un po’ una comune dei lavori Shinkai, insieme al tempo e alla sua ineluttabilità e labilità, in Suzume c’è un approccio diverso alle cose e alle persone. Il fatto che l’amore nasca nonostante Sota sia una sedia è proprio la conferma di questo accostamento quasi che si sia voluto trasmigrare il sentimento molto più sulla percezione, giustamente, che su altro. Certo, questo concetto è presente anche in Your Name, ma qui a mio avviso c’è la sua esaltazione. Anche il verme e i suoi tentacoli (all’inizio mi ha fatto pensare a Enemy), ovviamente di Miyazaki derivazione, tende ad assolvere questa funzione nonostante voglia essere non tanto la metafora di qualcosa o qualcuno, quanto dell’instabilità della natura.
Pur senza mai citarlo, infatti, tutta la storia gira sul terremoto e maremoto del Tōhoku del 2011 e conferma l’inclinazione su questo argomento, o meglio, sulle ripercussioni di questi argomenti sull’uomo del suo autore. Stavolta però e maggiormente che in tutte le sue altre opere, attraverso una circolarità narrativa maggiore e con una dinamicità a volte frenetica evidentemente più marcata, anche a discapito, e questo è la pecca del film, della stabilità emotiva della storia. Se non ci fossero stati gli ultimi secondi, infatti, tutta la vicenda non mi sarebbe arrivata pienamente (confermando quanto detto sul paragone con il meraviglioso Your Name) e questo, secondo me, per la necessità di ogni racconto di avere un Io predominante sul Noi. In ogni caso e al di là del puro gusto personale, Suzume conferma comunque l’abilità di Shinkai e di come, considerando l’enorme successo in patria del film, sia considerato, e a ragione, uno degli esponenti futuri più importanti (forse il più importante) dell’animazione mondiale.
Jonhdoe1978
Ti è piaciuta la recensione? Seguici anche su Instagram e Facebook
Lascia un commento