Nessuno come un ateo è pronto a cambiare idea.
Se ci si pensa, infatti, un credente, cristiano, mussulmano o di qualunque altra religione che sia, mai cambierà opinione a prescindere da qualunque cosa gli si dirà. Allo stesso modo, chi adora e si spinge al contraltare, il diavolo tanto per dargli un nome, è cosi esaltano che non potrà mai tornare indietro. E lo stesso vale anche per chi sta in mezzo e cioè quelli che a prescindere dalle sembianze e dalle caratteristiche credono nell’esistenza di una qualche entità. Tale apertura li pone in una terra di mezza nella quale vale un po’ tutto e dalla quale appunto, non si distaccheranno mai.
Anche se magari poi non è cosi, è quello che ho immaginato hanno pensato Cary Solomon e Chuck Konzelman quando hanno deciso di scrivere e dirigere il loro nuovo film, Nefarious appunto. L’incipit, infatti, ci parla di un giovane e brillante psichiatra dello Stato, ateo, che deve verificare se il condannato a morte Edward Wayne Brady sia lucido per ricevere questa punizione oppure non sano di mente e quindi da curare. Peccato che dietro a Edward sembra celarsi un demone che dice di chiamarsi, appunto, Nefarious.
Devo essere onesto, per circa 60 minuti questo film fa parte di uno di quei gioielli nascosti che ogni tanto il caso ci fa scoprire. Una stanza, due attori (Sean Patrick Flanery in particolare, straordinario, ma ci torneremo) e una sceneggiatura da brividi per intensità e contenuto. Una semplice chiacchierata d’intenti piano piano si trasforma in un dialogo illuminato sull’esistenza e sulle priorità. Per lunghi tratti l’essenza del male diventa l’essenza dell’uomo e l’inferno e il paradiso solo piani esistenziali con il quale identificarsi nonostante una distanza che per certi versi non sembra più cosi evidente. La percezione di questa tamburellante serie di parole (in lingua originale sono veramente travolgenti) è dirompente e ti porta a creare simbologie e pensieri non sempre omogenei. Si passa, infatti, dall’idea concreta del bene e del male, intesi come angeli e demoni seppur in un’accezione diversa dal comune, a quella della suggestione mentale completa. Certo, quest’ultima in certe circostanze perde di concretezza (alcune cose sarebbero inspiegabili), ma la mente ci va e questo perchè la nostra indole è sempre pronta a ricevere nozioni e tracce sull’anima e sull’etereo e quindi ad andare al di la della ragione.
Il gioco psicologico che si crea tra i due diventa ancora più pregnante, ed ecco che arrivo a spiegare la mia prima definizione, perché dall’altra parte c’è un ateo. Il primo indizio di questa ragionata impostazione l’abbiamo con il dialogo che Edward ha con il prete. Breve, minimale, quasi conciliante. In pratica, di tutt’altro tenore rispetto a quella che avevamo visto fin li tra i due protagonisti. Ma perché allora un ateo è il terreno fertile per un demone? Semplice, oltre la razionalità di credere che tutto inizia e finisce nella carne in ogni uomo entra in ballo l’istinto di conservazione che alla fine si riduce nel disperato bisogno di provare a immaginare qualcosa oltre la vita. Questa necessità inconscia, che va oltre la morte, porta appunto a chi dice di non credere a nulla di essere quasi impreparato al contrario e quindi di essere la vittima perfetta per cadere nel dubbio.
Come detto, magari è solo una mia supposizione, ma non credo che i due autori non ci abbiano pensato e, aggiungerei, anche con molto acume.
All’inizio ho parlato dei primi 60 minuti, la domanda che rimane è quindi: e i restanti 30? Avvisando subito chi non ha visto il film di fermarsi, qualche scricchiolio in questa seconda parte c’è se non altro perché si ha la sensazione, assolutamente lontana sino a quel momento per unicità e intensità, di qualcosa di già visto e di colpevolmente forzato. Nonostante la fine sia correttamente il sunto di quanto sin li mostrato (sapere ad esempio che la compagna di James stia abortendo proprio in quel momento non è una cosa che una persona incarcerata e isolata poteva sapere) ho avuto la netta sensazione che qualcosa si sia perso e che tutta la costruzione emotiva creata abbia all’improvviso avuto una brusca interruzione. Per carità, non dico che i strascichi adrenalinici e di pura eccitazione che ho avuto prima siano improvvisamente spariti, ma credo che una conclusione più sottile, sulla falsa riga poi di tutta l’impostazione, sarebbe stata migliore. Attenzione, non parlo di un disastro, sarei stato chiaro, ma solo che non è stata alla splendida all’altezza della prima parte.
Ho detto che avrei approfondito il capitolo attori e questo perché non si può non essere rapiti dall’interpretazione di Sean Patrick Flanery. La sua è una prova fenomenale sotto tutti i punti di vista. Per lunghi tratti ti travolge dandoti quasi la sensazione di sentire la sua natura e la sua demoniaca pericolosità. Straordinario.
Non si può parlare male neanche del suo dirimpettaio, Jordan Belfi, ma la differenza tra i due è comunque molto evidente.
Con Nefarious continua cosi il filo dorato dell’horror di questo ultimi tempi. Certo, questo lo si può considerare quasi un thriller/horror e questo ne aumenta i meriti. Alla fine, infatti, mi ripeterò, ma nei primi 60’ non c’era traccia di nessuna scenografia e tutto era nelle mani dell’idea e della sua realizzazione. E la magia si è creata, la tensione era presente e la mente ha galoppato allo stesso ritmo delle parole: a ritmo incessante. Nefarious, concludendo, è un film da vedere assolutamente ed è uno di quelli che, a differenza di moltissimi altri del genere, merita almeno una seconda visione, sono certe che nuovi spunti intimo/emotivo verrebbero a galla.
Jonhdoe1978
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