Al giorno d’oggi, molto spesso, si parla di povertà e di come ci sia molta differenza tra i più ricchi e i più poveri. Seppur constatando che il ceto medio attuale non è lo stesso degli anni ottanta e novanta, la lira e la possibilità di svalutarla a piacimento ci aveva concesso una sorta di benessere apparente, la situazione attuale non si può assolutamente paragonare a quella di tutto l’ottocento e alla prima metà (forse qualcosa in più) del novecento. Qui si che i ricchi erano i ricchi e i poveri erano i poveri, il ceto medio non si sapeva neanche cosa fosse.
Proprio nel corso di questo momento sociale, Eduardo Scarpetta scrisse diverse commedie teatrali tra le quali, appunto, Miseria e Nobiltà. Quest’ultima con gli anni divenne una della sue più celebri grazie soprattutto, e veniamo a noi, alla sua riproposizione cinematografiche diretta da Mario Mattioli e interpretata da Totò.
Come spesso mi capita, quando ovviamente ne vale la pena, mi trovo a girare nel web a leggere qua e la del film appena visto e con mia grande sorpresa ho trovato pochissime pagine che parlassero con profondità di questo film e dove fosse non c’era tutto questo entusiasmo. Fra queste mi ha colpito una critica dell’epoca, l’articolo è del 15 maggio 1954, di Giulio Cesare Castello che testualmente diceva:
“Sembra che le farse di Eduardo Scarpetta siano considerate veicoli ideali per Totò e strumenti infallibili per incrementare i ‘borderò’. Ecco, quindi la più celebre e notevole di tutte, ‘Miseria e nobiltà’ (1887), che lo stesso Mario Mattoli ha trasferito sullo schermo, in base a un non dissimile, grossolano e mal inteso senso dello spettacolo. Il film ricalca da vicino il testo scenico, ma senza preoccuparsi di valorizzarne le trovate più vive e limitandosi invece ad affidarsi all’iniziativa personale di Totò.”
Ora, non posso ritenermi il maggior esperto del teatro fine ottocento, inizio novecento, ma non constatare che Totò tale opera l’ha in qualche modo valorizzata e resa ancora più immortale mi sembra assurdo. Ovviamente il buon Castello, al momento delle sue parole non poteva sapere cosa sarebbe diventato questo film, ma di certo il suo approccio al re della risata non era di certo di accondiscendenza e/o simpatia. Tale considerazione si allaccia ad altri commenti attuali, contraddicendo la considerazione appena fatta, che vedono in Totò un personaggio che ha fatto ridere la sua generazione e poco più e che ora non farebbe nessun effetto. E la cosa paradossale è che molti delle risposte sotto annuivano (metaforicamente) a questa affermazione. Questo piccolo quadro, arrivando al succo del discorso e volgendolo, come è giusto che sia, sul lato soggettivo, mi ha fatto pensare come ormai la società attuale (e il passato a quanto pare non era molto diverso) non ha capacità di discernimento e la capacità di settorializzare quello che vede. La comicità di Totò era sempre sull’orlo tra il grossolano e il sottile, anzi proprio i suoi interventi quasi apparecchiati, tra le sue labbra assumevano un significato diverso e per nulla scontato tanto il trasporto e la capacità comunicative che aveva.
Miserie e nobiltà non è un one man show, ma una serie di giocate da fuoriclasse nell’ambito di una partita bellissima. La struttura, evidentemente ispirata al teatro, è estremamente chiara e riesce a rendere indubbio sia il contesto narrativo/sociale che le personalità e le intenzioni dei vari personaggi. Tanto per fare un esempio, anche Vincenzo, il maggiordomo di don Gaetano, interpretato da Franco Sportelli, alla fine ha una sua perfetta dimensione e rimane nell’immaginario esattamente come gli altri protagonisti. Questo vuol dire aver saputo scrivere (Ruggero Maccari) con cura ogni passaggio, valorizzando (non come detto da Castello) il contesto e il messaggio. Che poi Totò in alcune scene abbia tirato fuori alcuni dei suoi numeri di improvvisazione rendendole immortali (mettere la pasta in tasca è uno dei questi) è indubbio, ma è un di più non il film.
La nobiltà, mi perdonerete la ripetizione, di Miseria e Nobiltà la si ha non solo, come detto, per il brillante modo con cui ha “intrattenuto”, ma per la capacità attraverso la commedia di raccontare del disagio sociale, come detto all’inizio, non solo tra i ricchi e i poveri ma anche tra i ricchi e chi in qualche modo stava scalando le classi sociali. La rappresentazione che i soldi erano secondari al titolo nobiliare arriva con pienezza e con essa l’evento speranzoso che ci sia sempre qualcuno (stavolta identificato con il marchesino Eugenio) che tenti di fare da mediatore tra queste differenze. Parliamoci chiaro, se nessuno dei più ricchi e potenti non avesse mai cercato di avvicinare i più poveri, il solco tra i due sarebbe stato incolmabile e sempre più profondo. La spinta per farlo, anche in questa storia, che poi è la motivazione più realistica, è l’amore, simbolo da sempre di uguaglianza e parità. Ovviamente, l’esaltazione della pellicola è di altra natura, ma non si può di certo affermare che il messaggio non arrivi.
La prova attoriale complessiva è splendida, non c’è un solo personaggio che abbassi il livello, ognuno aggiunge un pizzico di sale e di motivazione a quello che è l’obiettivo e il risultato che si voleva raggiungere. Enzo Turco è stato una spalla solida e anzi, in alcuni tratti è stato lui che ha indirizzato il tono dei discorsi e degli eventi. Sophia Loren era all’apice della sua bellezza e riesce a metterla a disposizione del suo talento rendendo il personaggio per quello che doveva essere: sensuale e intrigante. Menzione d’obbligo per Gianni Cavalieri. Il suo don Gaetano da proprio l’idea della persona “ripulita” e la conseguenza positiva di questa sensazione è evidente.
Come sempre mi capita, rimango sempre convinto che per quanto uno abbia buona memoria con il tempo molti particolari si tende a dimenticarli, prima di scriverne ho rivisto il film. E devo dire che non ho mai avuto l’impressione di assistere a qualcosa di anacronistico e dai modi superati. La comicità è viva, i tempi comici perfetti e il gioco eventi/fraintendimenti curati e in qualche modo attuali. Non si ha mai, infatti, la sensazione di star assistendo a una storia di 70 anni fa e posso garantirvi che non c’entra nulla la predisposizione personale o l’attitudine a digerire storia di qualsiasi momento storico. Ho percepito il peso degli anni a opere meravigliose di Capra o Hitchcock e qui non mi è capitato. Ho vissuto tutta la storia come una splendida rappresentazione in costume, con una sceneggiatura perfetta per il contesto e una capacità di rubarti il sorriso senza possibilità di difesa e questo, per come la vedo io, varrà domani come vale oggi e come è valso ieri.
Jonhdoe1978
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