È ormai chiaro che il mondo cinematografico trovi sia un’ottima idea, dopo un tot di anni, rispolverare la tragedia del disastro aereo delle Ande del 1972. E cosi, dopo Alive – sopravvissuti del 1993, remake de I sopravvissuti delle Ande del 1976, ecco infatti, presentato da Netflix, La società della neve (recentemente candidato all’Oscar come miglior film internazionale).
Tralasciando per un attimo l’opportunità di riproporre una storia che, a mio avviso, era già stata proposta con intensità dal film di Frank Marshall, il mio, anzi, i miei parametri di giudizio, cosi come per tutte le storie che riprendono eventi reali drammatici, sono la capacità di angosciare e il riconoscere il momento dove fermarsi per non esagerare.
Ecco, La società della neve, titolo geniale ripreso dall’omonimo libro da cui il film ha preso spunto (per quello che vale essendo una storia già conosciuta), riesce pienamente nel primo punto ma non, purtroppo, nel secondo. Per quasi 130’ la storia, infatti, pur conoscendola, ti rapisce dandoti la perfetta sensazione (ovviamente solo immaginata) di quello che i protagonisti stiano provando e vivendo. Più di una volta la gola ti si chiude (pensiamo alla scena del disastro) e lo stomaco ti si attorciglia, indice, quindi della piena riuscita dell’intento finale e quindi, del mio parametro emozionale. Poi però, succede che si vuole esagerare e quel momento tanto atteso e coinvolgente della salvezza (il no a salire sull’elicottero senza la valigia con tutti i ricordi di quelli che non c’erano più è meraviglioso) scivola nel retorico facendo perdere d’intensità tutto il percorso. Sarebbero bastate due parole sul significato di quel ritorno, sul come per loro, i sopravvissuti, il confine tra la vita e la morte sarebbe stato sempre differente rispetto agli altri e di come la memoria sarebbe rimasta elemento imprescindibile nel cammino restante. Il resto che si è detto in quei minuti (aggravato da un improbabile e interminabile tour fotografico tra il reale e il rappresentato) è stato solo accademia e aveva, a mio avviso, come unico scopo quello di accaparrarsi una lacrima in più del necessario. E questo mi ha fatto riemergere con prepotenza la diffidenza (oltre a un enorme perché?), accennata all’inizio e chiudendo cosi l’appeso, dell’opportunità (per lunghi tratti la questione era stata spazzata via dalla mia mente) dopo un prodotto eccellente come Alive, di riproporla e smorzato e ammorbidito le belle sensazioni visive e di pura gestione narrativa che avevo provato.
Detta in due parole: come trasformare un ottimo film in un film “normale” per eccessivo protagonismo dialettico.
Jonhdoe1978
Voto 6.8/10
TRAILER: Into the Wild
TRAMA: dopo “L’Orfanotrofio della Paura”, “Impossibile che non rimani a galla” e “Dinosauri alla Riscossa”, il regista J.A. Bayona decide di dire la sua sulla storia che ha visto protagonisti i passeggeri del volo 571, diventati quelli del “disastro aereo delle Ande”, per altro vicenda già raccontata nella commedia romantica “Staying Alive” con Ethan Hawke.
Una storia di uomini che cercano di sopravvivere a una situazione che li metterà a dura prova sia fisicamente che umanamente. Il freddo, una voce fuoricampo che rompe le scatole, la fotografia bellissima, le sigarette scambiate come caramelle perchè quelle a chewing-gum erano finite, la ricerca continua nell’estetica del dolore che comunque non è che può essere sempre tutto bello…tutte cose che fanno prendere una decisione ai sopravvissuti: quella di darsi al cannibalismo.
Purtroppo al freddo e al gelo sono sprovvisti di posate e calici di cristallo, neanche un fornello a induzione messo a disposizione dal regista, figuriamoci le spezie. Così l’allegra combriccola prende la decisione estrema che li cambierà per sempre: mangiare la carne senza sale né un filo d’olio.
Il regista, forse perchè n’parte s’era ghiacciata la telecamera, non cambia mai ritmo e registro, non scende troppo nelle storie dei sopravvissuti perchè a forza di balbettare non ce la faceva manco a faje delle domande, così ci ritroviamo di fronte a un viaggio di 2 ore talvolta ridondanti, stilisticamente impeccabile ma piuttosto freddo…di quello che in alcuni momenti lascia indifferenti.
Mklane
Voto 6.5/10
La società della neve è l’adattamento cinematografico dell’omonimo libro di Pablo Vierci, basato sulla vera storia del disastro aereo delle Ande, noto per il volo 571. La narrazione, già portata sul grande schermo due volte in precedenza, riceve una nuova interpretazione da J. A. Bayona, già conosciuto per il suo precedente lavoro incentrato sullo Tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano The Impossible.
Presentato alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film è da settimane nella Top 10 mondiale di Netflix.
Il viaggio inizia con un’imponente vista a volo d’uccello dei vasti paesaggi bianchi, accompagnato da una voice-over di uno dei protagonisti del disastro, Numa Turcatti (Enzo Vogrincic Roldán), che introduce il dramma umano di chi ha lottato per la sopravvivenza nei giorni seguenti al disastro aereo. Bayona, tornando a un tema di catastrofe, cerca di equilibrare la cupezza del contesto con un coinvolgimento emotivo per il grande pubblico.
Formalmente impeccabile, il film mostra la magnificenza dei paesaggi incontaminati con una fotografia eccellente. Tuttavia, la mancanza di varietà nei ritmi e nei toni, insieme alla scarsa caratterizzazione dei personaggi, impedisce un coinvolgimento completo. La sceneggiatura si concentra sull’esaltazione del nucleo e sul senso di comunità e sacrificio, ma la mancanza di approfondimento nelle figure coinvolte limita l’empatia dello spettatore.
La società della neve riesce a toccare il cuore e lo stomaco degli spettatori, ma a tratti sembra indulgere eccessivamente nella crudezza della lotta per la sopravvivenza, con una durata di oltre due ore che potrebbe risultare parzialmente eccessiva. Sebbene il climax finale porti un sollievo liberatorio, il film talvolta insiste troppo sull’estetica del dolore nelle fasi precedenti.
Il lavoro di Bayona si distingue comunque per la saggezza nel lasciare fuori campo le scene più macabre, concentrandosi maggiormente sulla violenza psicologica a cui i protagonisti furono sottoposti, finendo così però per risultare meno catartico di quanto avrebbe meritato.
Alessandrocon2esse
Voto 6.5/10
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