Le coordinate del cuore sono estremamente variabili e seguono una logica personale che nulla ha a che fare con la razionalità e l’opportunità. L’irruente istintività che spesso accompagna il loro allineamento, che tutti conosciamo e chiamiamo amore, ha infatti, la capacità di stravolgere ogni convinzione portando la persona a ridefinire aspettative, proporzioni, senso comunicativo e equilibrio sensoriale ed emozionale. Soprattutto quest’ultimo diventa inevitabilmente la cartina di tornasole di tutte le scelte future e questo a prescindere dalla condivisione o meno di tale sentimento che quindi va al di la delle conseguenze e dell’eventuale felicità.
Siamo nella Russia di fine anni ’40 e il tenente generale del KGB Evgraf Andreevič Živago (Alec Guinness) si reca in uno stabilimento femminile alla ricerca della figlia del fratellastro Jurij Živago (Omar Sharif) e Lara (Julie Christie). Tra le tante candidate si convince che la persona che cerca sia Tanja Komarova, ragazza dal passato oscuro ma che combacia perfettamente con i luoghi e i tempi di origine della nipote. E cosi nonostante i dubbi della giovane, il generale inizia a narrarle la storia di quelli che potrebbero essere i suoi genitori.
Quando si decide di raccontare, almeno a livello di film, la serie ha tempi più comodi, una storia riguardante l’intera vita di qualcuno le scelte sono sostanzialmente due: scremare discrezionalmente quali momenti toccare avendo cura di costruire tra di loro ponti temporali sufficientemente solidi o allungare i tempi narrativi. Entrambe le soluzioni hanno evidentemente dei rischi. Nella prima di non trovare con pienezza il cuore di storia e personaggio/i e nella seconda di dilatare troppo i contenuti annoiando oltremodo lo spettatore. Pur essendo di principio un fautore del giusto tempo, se si ha da raccontare lo si faccia come si deve e senza pensare alla durata, ammetto che questa seconda opzione è quella che maggiormente ha creato nel tempo più danni e questo proprio per l’incapacità di molti autori di gestire l’alternanza storica all’intensità narrativa, mix per questi tipi di film, a mio avviso, imprescindibile. Rischio mai corso da Il Dottor Živago e questo per merito in gran parte della capacità comunicativa del suo regista David Lean, che ha trovato nelle lunghe navigazioni (molti suoi film hanno avuto minutaggi importanti) il giusto modo per avere cura dei particolari e trasmettere tutta l’emotività dei protagonisti. A questo va aggiunto, e qui entriamo nel campo dell’immortalità di un’opera, la sensazione di perenne attualità che il film ha trasmesso nel tempo. Sia chi l’ha visto all’epoca della sua uscita che chi, come me, a cavallo tra gli anni ’90 e ’00 (ma potrei tranquillamente dire anche oggi), infatti, ha la percezione di qualcosa di estremamente vicino e quindi coinvolgente. I motivi, a mio avviso, sono tre: la dimensione storica di un racconto è quella, compresi abiti e costumi, l’illuminata e futuristica regia appunto di Lean e la presenza dei contenuti emotivi e sentimentali assolutamente tangibili e avvolgenti ieri come oggi. Sotto quest’ultimo aspetto il cuore de Il Dottor Zivago è più complesso di quello che si potrebbe pensare e va molto oltre il concetto, peraltro ovviamente pregnante, dell’amore impossibile. Il rapporto che si crea tra Jurij e Lara è qualcosa di meravigliosamente ibrido tra la passione materiale e l’utopica idea avendo comunque a suo modo avuto una realizzazione e concretizzazione. L’impossibilità magari, sta nella condivisione, nell’impossibilità di solcare insieme il destino e le increspature di una società non solo in evoluzione ma proprio distorta e per lunghi momenti sporca. Il periodo tra le due guerre mondiali e la rivoluzione interna in Russia ha, infatti, portato un vuoto sociale importante e la sovrapposizione tra scelte, imposto e opportuno era labile e a tratti invisibile. Vittime e carnefici si scambiavano posto in continuazione con un senso soffocante della dittatura che ha frustrato aspettative e sogni. Ecco l’amore tra i due protagonisti, oltre il senso di responsabilità derivante e sopraggiunto vero e reale ora come allora, raggiunge l’unicità proprio per l’aver creduto e ceduto all’impeto del cuore uccidendo o ferendo passato e futuro anche solo per un attimo di felicità pura. Proprio quell’attimo, che poi è durato mesi e da qui la mia considerazione che non si tratti esclusivamente di amore impossibile, non solo li ha saziati della bramosia dell’altro ma gli ha data la capacità di sopportare e soprattutto, sperare. E al di la di tutto, è proprio la speranza, intesa come la capacità di ammorbidire la vita in un pensiero intimo e soffice, il vero cuore de Il Dottor Zivago. Tra bombe, sofferenza, oblio esistenziale e giochi di potere si crea, infatti, una sorta di aura colorata, cosi ingombrante che copre qualsiasi buio e che ha la fisionomia di quell’abbraccio che solo chi l’ha provato ne ha la reale percezione.
Al di la delle singole prove attoriali, Omar Sharif e Julie Christie hanno creato una delle fotografie più iconiche della storia del cinema, quello su cui mi vorrei soffermare è, come accennato, sulla regia visionaria di Lean. Il suo modo di raccontare, all’epoca era quasi tutto spiegato, attraverso metafore visive (pensiamo al camino, alla finestra rotta o ai tanti piccoli oggetti disseminati in varie scene) emozionanti e sempre esplicative del mondo narrato. Insomma un illuminato che ha saputo sfruttare il suo dono.
Tra tutti gli Oscar vinti quello che più di altri è rimasto nel tempo è senza ombra di dubbio la colonna sonora. Il Tema di Lara di Maurice Jarre è una di quelle melodie che apre il cuore e che ha permesso a molte scene del film di assumere (che poi è il ruolo richiesto alla musica) una dimensione poetica e epica. Ogni volta che partiva l’intro un sussulto dal basso iniziava il suo percorso verso l’alto creando una difesa emotiva estremamente labile.
Una delle definizioni in cui non mi rispecchio è: non se ne fanno più film del genere. La trovo una bugia qualunquista che ha la capacità di sminuire, collocandolo in un tempo remoto, la stessa opera di cui si sta parlando. Il cinema è il cinema e nonostante le evidenti evoluzioni tecniche il cuore rimane sempre lo stesso, si deve solo avere l’anima per cercarlo. Jurij e Lara sono l’apologia dell’amore, della sintesi tra vissuto e pensato e di come l’idea e il pensiero non possono mai morire e questo al di la di qualsiasi gesto, distanza o silenzio.
Jonhdoe1978
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