I polizieschi anni 70’/80’ e 90′ avevano quasi tutti la stessa struttura: un inizio descrittivo su ambito e personaggi, le cose che si ingarbugliano e il “macello” finale, ideologico e/o fisico, come risoluzione della questione. A cavallo del nuovo millennio, con i grandi protagonisti che avanzavano con l’età e una nuova generazione non proprio all’altezza, si è cercato di appesantire le trame rendendole più psicologiche (i polizieschi alla vecchia maniera sono rimasti, ci mancherebbe, ma sono stati inseriti in un genere a sè).
Alcuni registi più o meno noti, però, fedeli a quel taglio, hanno continuato a utilizzare quella ricetta, tra questi c’e David J. Burke (facente parte della categoria meno noti) e il suo Edison City, film del 2006 con, appunto, le stigmate ben visibili del 1980.
La prima cosa che voglio approfondire, che poi è la prima che ho pensato e anche prima dell’analisi complessiva della riuscita o meno del progetto, è il titolo e il suo significato. Per questa storia si è scelto di utilizzare un luogo di fantasia, Edison City appunto, con il risultato, almeno dal mio punto di vista, di aver spersonalizzato l’ambito materiale e alleggerito la coscienza. L’impressione, infatti, è stata quella che l’utilizzare un luogo non reale sta stato più per non incombere in parallelismi o sovrapposizioni che per una vera esigenza narrativa. Tanto per essere chiari, se al posto di Edison ci fosse stato New York e al posto dei FRAT una delle tante agenzie di vigilanza vicino al governo, la sostanza non sarebbe cambiata di una virgola.
Detto questo e finalmente entrando nello specifico del film, credo che questa appena detta sia la parte più debole di tutto il film, il resto, infatti, funziona e anche bene. Il motivo di tale affermazione, facile da capire dopo avere letto l’incipit, sta nel fatto che sembra di vedere proprio un film pensato e costruito 40 anni fa, con tutte le virtù e le debolezze conseguenti. Le evidenti forzature interpretative e narrative, i colpi di scena annunciati minuti prima, la resa dei conti finale con il classico uno contro tutti con le pallottole che a quell’uno sembrano essere allergiche, non sono errori, ma scelte. Tanto per capirci e estremizzando, perché Arnold Schwarzenegger può farlo con il suo Commando e ottenere approvazioni e LL Cool J (ovviamente con tutte le differenze del caso), no? Anche il finale felici e contenti, per quanto zuccheroso e quasi scontato, rientra nello stesso schema intrattenimento/positività di cui quel genere si nutriva e viveva e quindi, non stona.
Insomma, dal mio punto di vista, ma non credo di mancare di troppo l’obiettivo, tutto si riduce tra chi questo genere di progetti non li ha mai sopportati (o comunque non li ha mai esaltati) e chi come me se ne è fatto incetta anno dopo anno trovando sempre (in quelli fatti decentemente) la soddisfazione che cercava.
Tanto per onestà, se si esclude Morgan Freeman (ma lui un film lo ha mai sbagliato?), questa per i vari Justin Timberlake (è apparso acerbo), Kevin Spacey (sufficiente) e John Heard, non è stato la miglior performance della vita e probabilmente, non ce n’era neanche bisogno. Proprio il sottile filo tra semplice intrattenimento e piccolo sforzo mentale era il secreto di questa ricetta e gli attori in qualche modo dovevano adeguarsi e non risultare pesanti e/o ingombranti.
Sono conscio che i film che ti riempiono i polmoni sono altri, ma il mondo del cinema non splende solo per quelli. Ad ogni decennio, infatti, si crea una mini falda cinematografica dove un determinato mini genere si insidia assecondando, evidentemente, i bisogni sociali del periodo. Pensiamo agli spaghetti western degli anni 70’/80′ o appunto, agli action movie senza troppo misteri e con il finale sereno e scritto dell’accoppiata 80’/90′ o ancora della commedia nostalgica Italiana sempre delle decade 80 e poi trascinata con qualche variante sino al duemila (da allora esiste sempre, ma il taglio è evidentemente cambiato). Poi entrano in ballo i gusti personali e tutto quindi diventa relativo.
Quindi, e andato a chiudere, se volete e cercate un thriller politico dove la psicologia la fa da padrona e non si sa bene chi sono i cattivi e chi i buoni, questo film non fa per voi.
Se invece, cercate un film onesto nel quale i cattivi sono i cattivi e i buoni sono i buoni, con un giusto mix di azione e parole e con un pizzico di speranza e fede nelle seconde possibilità, insomma un vero pieno anni 80, ecco che Edison city vi può far passare una buona ora e mezza.
Jonhdoe1978
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