A tre anni di distanza dalla vacanza/studio di Barcellona, tornano i protagonisti de L’appartamento spagnolo che, ormai alle soglie dei trent’anni e con qualche ruga in più, sono ancora alla ricerca di stimoli, gratificazioni professionali e, soprattutto, del vero amore.
Sempre diretto da Cédric Kaplisch, il sequel della pellicola che ha rappresentato un punto di riferimento per la generazione “Erasmus”, è un film ricco di dialoghi e situazioni quotidiane che riflette appieno il cinema tipicamente francese. Anche in Bambole russe, come nel precedente episodio, emerge un tema originale (nel 2005 non era ancora così inflazionato), trattato con freschezza e leggerezza, ma con una visione della vita meno ottimistica rispetto al suo predecessore: una commedia dedicata ai trentenni single, che dietro la superficie spensierata cela un quadro più profondo e malinconico.
Il protagonista Xavier Rousseau (Romain Duris) adesso vive a Londra ed ha coronato il suo sogno di diventare scrittore, seppur accantonando il proprio romanzo per arrangiarsi sceneggiando insulse fiction e facendo il Ghost Writer. Nonostante qualche anno in più di esperienza, sembra però ancora piuttosto confuso sentimentalmente, collezionando storielle senza importanza una dietro l’altra, tra cui anche una tresca con l’ex coinquilina spagnola Wendy Anderson (Kelly Reilly), anche lei a Londra per lavoro e un’infatuazione per la modella Celia Shelburn (Lucy Gordon), di cui Xavier è stato incaricato di scrivere la biografia.
Kaplisch torna a esplorare il mondo dei giovani adulti e le loro difficoltà, cercando di attingere quanto più possibile dalla sua guida François Truffaut: le insicurezze, le delusioni, il senso di smarrimento che affligge chi fatica a costruire relazioni stabili. Xavier diventa simbolo di una generazione che sembra sfuggire alla responsabilità di diventare adulta, si ritrova a confrontarsi con l’impossibilità di continuare a rimandare scelte decisive, come se la vita fosse una serie infinita di scatole cinesi o, nel caso specifico, di Matrioske.
Proprio come suggerito dal titolo infatti, Bambole Russe offre uno sguardo piuttosto pessimistico sulla vita e sui legami, attraverso un intreccio di storie che si accavallano e si sovrappongono. Le relazioni amorose, che rimangono simili a ogni età e in ogni luogo, sono pervase da una malinconia che deriva dalla consapevolezza che il tempo fugge via troppo in fretta, spezzando l’ingenuità e lasciando dietro di sé una sensazione di mancanza e nostalgia. Il film riflette su come il cambiamento sia inevitabile e necessario, una parte del processo di crescita. Tuttavia, non si tratta solo di maturare, ma di imparare ad accettare nuove realtà, a rivedere sé stessi da diverse prospettive e a colmare quel vuoto interiore che spesso ci accompagna, fino a guardare il mondo con occhi nuovi.
Nonostante il tono ironico e leggero (anche se il sorriso arriva col contagocce rispetto all’episodio precedente), il film non sottovaluta le difficoltà che i giovani adulti devono affrontare, specialmente nel passaggio alla maturità, quando i sogni si infrangono contro la dura realtà e le aspirazioni per il futuro lasciano spazio a sentimenti di insoddisfazione.
Duris dimostra nuovamente il suo talento nel dare vita a Xavier, un personaggio tanto simpatico quanto malinconico, alla ricerca di un amore che sembra sfuggirgli continuamente, non senza responsabilità proprie. Accanto a lui, tornano alcuni dei personaggi già noti dal primo film, tra cui Kevin Bishop, stavolta molto più coinvolto e Audrey Tautou che, nonostante abbia praticamente sfondato, appare brevemente per un cameo all’inizio. La Reilly, che invece avrà modo di dimostrare la sua bravura e una disarmante bellezza proprio con questo film, diventa il nuovo interesse amoroso di Xavier, portando nuove dinamiche alla storia.
Con Bambole Russe, Klapisch dimostra ancora una volta il suo talento nel genere della commedia, anche se questa volta si perde un po’ nel tentativo di voler dire troppo. Il film cerca di affrontare ogni possibile aspetto della storia, risultando alla fine sovraccarico. Anche se intrattiene e riesce a colpire tutti i trentenni che, almeno una volta nella vita, si sono ritrovati ad avere le stesse angustiate preoccupazioni di Xavier e, forse, avrebbero voluto avere la capacità essere in grado di ideare la sua analogia inserita nel titolo, la durata eccessiva si fa sentire.
Nonostante poi alcuni punti di forza come l’energia degli attori e una trama vivace, Bambole Russe soffre di una sorta di instabilità narrativa, probabilmente frutto di un uso non sempre efficace di flashback e flashforward, lasciando la sensazione che la storia manchi di coerenza, con la trama che rimbalza tra non poche “ispirazioni”, che vanno da L’ultimo bacio di Gabriele Muccino, fino a Il mio grosso grasso matrimonio greco di Joel Zwick.
Lungo il proprio percorso dei suoi eccessivi 128 minuti, così come il suo protagonista trentenne, Bambole russe appare smarrito e indeciso. In attesa della chiusura (?) del cerchio oltreoceano di Rompicapo a New York.
Alessandrocon2esse
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