In generale, sono convinto che per capire, o meglio per cogliere pienamente le sfumature di un film non sia necessario conoscere o aver visto le opere precedenti di quello stesso regista. Magari quella conoscenza può portare a una comprensione più completa dello stile, ma non molto di più. Come ogni cosa, però, esistono delle eccezioni e Anora, indubbiamente, è una di queste.
Sean Baker è un regista particolare e quasi tutte le sue storie hanno una linea comune cosa che, appunto, rende Anora, seppur attraverso una scelta narrativa assolutamente autonoma, l’ulteriore appendice del suo modo di vedere le cose. Per quanto uno un’idea se la possa fare, reputo che senza aver visto almeno The Florida Project (titolo originale dell’orribile traduzione Un sogno chiamato Florida) qualcosa di questo film sfugge o meglio, non se ne riesce a carpire completamente l’essenza.
Anora si presenta come una Cenerentola e una Pretty Woman dei giorni nostri, senza però, un lieto fine che le aspetta. Il principio, ed ecco il comun denominatore dei lavori di Baker, è l’infinita conflittualità tra sogno e realtà e il fatto che molto difficilmente chi è nato da una parte della barricata possa scavalcarla, almeno definitivamente. Certo, può farci un giro, anche abbastanza lungo, ma poi la vita e le persone ti riportano nella tua dimensione e questo a prescindere da tutto quello che tu puoi fare. Anora, sin dal nome, cerca di sdoganarsi dalle sue origini e, ad un certo purto, pensava di avercela fatta. Poi pezzo dopo pezzo il suo puzzle emotivo si smonta in maniera inversamente proporzionale rispetta a quello che si aspettava. Inversamente come la sua anima e il suo corpo: leggera la prima e nudo il secondo all’inizio del film e pesante e coperto nelle parti finali. L’aspetto fisico e la ricchezza, preminenti nella prima ora, piano piano perdono di importanza soppiantanti dalla vera anima del film e, come detto, di tutta la filmografia (sino a ora) del suo autore su cui ho detto pocanzi. La seconda parte, quella del viaggio selvaggio e velocissimo tra le strade notturne di New York, è ammaliante e bellissimo e rovista in tutte le tematiche aperte nella storia: La differenza di classe, la ricchezza, il fatto che il denaro non compra tutto, la gelosia, la superficialità, l’ineluttabilità della provenienza, il destino, la dignità, la rassegnazione e, in fondo, un pizzico di speranza.
So perfettamente che sembra un ventaglio enorme per una sola storia, ma Anora è proprio il concentrato di tutte queste cose, ovviamente con un’intensità non sempre pari per ognuno di loro.
L’approccio del film è tra l’estremo e l’ironico, alcune parti sono estremamente divertenti, poi piano piano i toni cambiano e la notta di cui ho detto poche righe fa appare come il perfetto corollario di quel risveglio brusco che la storia vuole mostrarci. Il crollo del sogno, tipico di quella parte di persone socialmente confinate in un ambito ben definito (altra idea ben radicata in Baker), però, si contrappone, elegantemente, al rapporto estremamente empirico che si crea tra Anora e Igor (un meraviglioso Jurij Borisov). La sensazione è che il regista americano abbia voluto mostrare i due estremi dell’amore: pomposo, eccessivo, verboso e superficiale da una parte e silenzioso, empatico, magnetico e senza interesse dall’altra. Verrebbe da sperare (attenzione spoiler) che sia il secondo a vincere e invece non è cosi. Baker, pur lasciando una via aperta, nessuno sa come e se proseguirà il rapporto dei due, chiude il suo racconto con una sconfitta e un senso malinconico enorme e senza alternative. Il ricco e viziato vince e il povero e l’emarginato si lecca le ferite. E ancora, chi è ricco pulirà sempre la sua immagine allo specchio facendola risultare migliore di quella che è, al contrario gli altri dovranno sempre fare i conti con il loro riflesso peggiore cercando di renderlo almeno sopportabile.
Mikey Madison è strepitosa. Anora era un personaggio complesso da pensare, figuriamoci da interpretare. Doveva far emergere infinite sfaccettature e renderle tutte efficaci e travolgenti, era, in sostanza, un compito tutt’altro che facile. Altrettanti convincenti, nonostante i ruoli all’antitesi, Karren Karagulian e, appunto, nelle vesti di Igor, Jurij Borisov. E’ il classico esempio di come un personaggio irruente può essere coinvolgente quanto uno in sottrazione. La cosa importante è come viene sceneggiato e poi, appunto, interpretato e vissuto.
Alla fine della proiezione, era alla Festa del Cinema di Roma, ho percepito, oltre che visto, molta gente interdetta per come il film si è concluso. La cosa non mi sorprende ed è figlia, come più volte detto, dal fatto che molti non conoscevano sino in fondo Baker. La fine di Anora è, dal mio punto di vista, drammaticamente e schiettamente molto bella ed è la foto perfetta della disillusione emotiva, su certi argomenti, del suo creatore/ideatore. Il punto è che la vita non è sempre definita e a volta la perdita del sogno è spiccia e velocissima, come appunto la fine di questa storia. Personalmente, oltre l’ovvia malinconia della situazione e della protagonista, ci ho visto lo switch definitivo tra corpo e anima. Anora, intesa come personaggio, dava l’impressione di concedersi a Igor quasi come ringraziamento (i suoi rapporti erano praticamente quasi tutti fisici) per quei gesti di cura e attenzione a cui lei non era abituata, per poi, all’improvviso, ritrovarsi moralmente non più pronta e totalmente indifesa. Prima ho parlato, e qui chiudo, anche di speranza e questo perché la mente può andare oltre il momento finale. Baker evidentemente e nel suo stile, non chiude la vita, ma chiude un capitolo e un momento, il resto, seppur ovviamente con le radicalizzazioni delle sue idee, è ancora da scrivere e se è da scrivere c’è spazio per tutto, speranza compresa.
Jonhdoe1978
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