Adagio, film che chiude, dopo Romanzo Criminale la serie e Gomorra, la trilogia di Stefano Sollima sul crimine, ci racconta di una Roma sporca, malata e sull’orlo di un fantomatico e incessante male. E se il fuoco (simbolo di distruzione e purificazione) è la metafora, i protagonisti ne diventano l’immagine, triste, deviata e nostalgica.
Da una parte tre vecchi rampolli di una Roma criminale che fu (residui della banda della Magliana) e dall’altro altrettanti che invece quella criminalità dovrebbero contenerla. Si crea cosi una specie di guardie e ladri che però per molti tratti e con le giuste puntualizzazioni si invertano i ruoli e le prospettive. Quello che si ottiene, ed è probabilmente quello cercato dallo stesso Sollima e da Stefano Burges, autori della sceneggiatura, è di uno spaccato sociale angusto e monotematico nel quale non c’è molto spazio per la normalità e la giustizia. E se per i giovani (intesi i carabinieri) la sensazione che ho avuto è stata emotivamente piatta, nel senso che non mi hanno stimolato alcuna riflessione, per l’altra parte durante la storia mi è venuto in mente un vecchio detto che sostanzialmente ci dice che quando smetti di essere o di avere un determinato potere (vale a qualsiasi livello) non conti più nulla e tutto l’ascendente che avevi si riduce a un minuscolo ossequio più di idea che d’altro. Proprio questo effetto nostalgia, quasi rimorso, peraltro quasi interamente circoscritto nel personaggio del Cammello interpretato da Pierfrancesco Favino, è l’unico che a mio avviso tiene in piedi il film molto di più della storia in sé e molto di più della motivazione, peraltro colpevolmente astratta e impalpabile.
Nonostante questo il film funziona, nel senso che ti tiene alta l’attenzione, grazie soprattutto alla complessiva bravura degli attori, lo stesso Favino su tutti, e per quella linea tra presente e passato che comunque si crea, almeno sino alla fine, eccessivamente appesantita ed esagerata.
Ultime righe per sottolineare due elementi assolutamente convincenti: la città vista spesso dall’alto in pieno stile americano e FINALMENTE una storia che si sviluppa nella Roma di quartiere, nei suoi vicoli e quindi in quello che realmente è il suo vero cuore.
Voto 6.2/10
Jonhdoe1978
TRAILER: chiedilo alla polvere
TRAMA: Gli uccelli migrano, i cieli piangono cenere, continui blackout che si susseguono quasi a celare ciò che accade tra i vicoli di una Roma marcia, decadente, con le crepe da cui gronda umidità malsana.
Incendi all’orizzonte mentre uno prende piede, adagio, tra i protagonisti di questa storia. L’innesco è tra le mani del giovane Manuel, che sente il cappio stretto di alcuni carabinieri corrotti causa un ricatto da cui non può scappare. Tale la paura che si propaga fino a toccare 3 dinosauri di una Roma che fu, il cieco Pol Niumànn, il padre dal cervello on-ff Daytona e il malato terminale Romeo detto Il Cammello.
Una volta delineati gli elementi, l’incendio prende piede tra case popolari, ricordi dei tempi che furono, rimorsi mai sopiti e la ricerca continua di una redenzione che sembra impossibile, poichè all’orizzonte c’è una nebbia fitta che non mostra nessuna speranza per il futuro.
La Roma di Romanzo Criminale e di Suburra sembra un lieto ricordo poichè questa è tutt’altro teatro, personaggi più crudi e veri che si muovono lentamente in un mondo che grida costantemente al collasso, dove l’uomo che fu diventa fantasma tra le rovine di una città morta.
Voto 6.4/10
Mklane
Con Adagio, del 2023, Stefano Sollima conclude la sua personale trilogia sul crimine, la corruzione e la decadenza, con una pellicola sospesa tra un passato criminale ed un presente incerto, in una Roma sanguinante e tentacolare dal sapore apocalittico, dove il caldo opprimente sostituisce la pioggia battente del precedente Suburra, ma sempre metafora di un mondo ormai al collasso.
Il giovane Manuel (Gianmarco Franchini), schiacciato da un padre malato e assente e da una realtà sociale opprimente, viene incastrato dai tre poliziotti corrotti Vasco (Adriano Giannini), Bruno (Francesco Di Leva) e Massimo (Lorenzo Adorni) e costretto a fuggire per sopravvivere. Nel tentativo di trovare aiuto, si rifugia da vecchi amici del padre: “Polniuman” (Valerio Mastandrea) e Romeo Barretta, detto “Cammello” (Pierfrancesco Favino), ex membri della Banda della Magliana, ormai figure deteriorate e senza meta, costrette a riemergere per un’ultima battaglia.
Il regista romano se la spassa a radere al suolo l’immagine di grandi attori italiani come Favino, Mastandrea e Toni Servillo (quest’ultimo nel ruolo di “Daytona”) trasformandoli in versioni degradate di sé stessi. Il personaggio di Servillo è particolarmente notevole, ma non scendo nello specifico per evitare spoiler.
L’azione del film si sviluppa in un’atmosfera noir, tra fantasmi del passato e conti in sospeso. Lo stile di Sollima, affinato dall’esperienza americana con Taylor Sheridan di Senza rimorso, disegna con precisione la topografia della città e l’evoluzione dei personaggi, ridefinendo i codici del crime movie, dilatando l’azione e sfruttando l’anticlimax per creare un continuo gioco di specchi e rivelazioni.
Rimangono comunque alcuni difetti, come l’eccesso di caratterizzazione di alcuni personaggi, dialoghi oltremodo sentenziosi, la scelta di un protagonista troppo giovane e acerbo per sostenere il ruolo e una serie di scelte, tutte concentrate nell’ultima parte del film, smodatamente surreali rispetto al tetto selezionato per tutta la sezione precedente.
Adagio non è probabilmente il migliore prodotto di Sollima, ma è di sicuro quello più maturo e merita di essere guardato per il coraggio del regista di scegliere sempre di muoversi al di fuori delle comfort zone, senza sudditanze per le istituzioni e allontanando gli attori dai loro ruoli abituali.
Voto 6.2/10
Alessandrocon2esse
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